Still... Alive?
Il male è già ben presente nel mondo, e in particolare in quello consapevole degli esseri umani: il male accade e viene perpetrato già più che a sufficienza e con abbondanza di orrori dalle persone sulle altre persone e sull'ambiente - sociale e naturale - che le sostiene, e non c’è alcun bisogno di tirare in ballo e in gioco e in causa il soprannaturale per spiegarne la presenza e la natura (così come non c'è alcun bisogno del conforto e della consolazione di una “Washington Square” dei Village Stompers ascoltata alla radio con una casuale cadenza quindicennale ch’è coincidenza fortuita e non frutto animista di un intervento fantasmatico, e che ritorna nello “scherzo” del contro-finale): il soprannaturale è una scusa per difendersi da, e, in seconda istanza, per combattere, e, in limine, per interpretare e spiegare, da una parte, la casualità indifferente del mondo naturale, e, dall’altra, la causalità umana dettata da idiozia, cattiveria, egoismo e, ancora, indifferenza.
Parimenti, indiscutibilmente, le fiabe e le favole nere esistono anche, oltre al piacere “perverso” di somministrarle, perché servono: servono, elaborando il male, per renderlo più facilmente assimilabile: l’uomo nero, inesistente, fa sempre più paura del baffetto imbianchino d’acquarelli mancato, del baffone panzuto, del pelato batrace tritacco io-minchione o, in piccolo, dei tanti Monsieur Verdoux/Charles Manson…
Detto questo, rimane difficilissimo far accettare allo spettatore solo attraverso i dialoghi, la recitazione e la regia (montaggio, fotografia, musica) quel che è facile far accettare al lettore attraverso la narrazione del narratore onnisciente anche se reticente. "The Outsider" ci riesce.
Parimenti, in pochi possono permettersi di trasporre al cinema Stephen King tradendolo (c'era quello… ma sì… com’è che si chiamava, ah già, sì, ecco: Stanley Kubrick....), e il modo migliore è tradurre l'inchiostro su cellulosa in sali d'argento su celluloide (o informazione 0/1 su supporto magnetico da trasformare in pixel su chermo) eliminando qualcosa, magari, ma senza aggiungere o modificare altro (fa eccezione, ad esempio, a parte le premesse, la struttura portante, lo svolgimento e la morale di “the Shining”, il finale del “the Mist” di Frank Darabont: diverso, anzi opposto, rispetto a quello kinghiano, ma altrettanto, se non più, forte), e Richard Price (“the Night Of”), con la sua nuova mini-serie, “the OutSider”, con precisione chirurgica degl’incastri e dell’evoluzione del racconto, esattezza e sincronicità dei dispositivi e messa in scena classica questo fa, e in maniera fantastica: per operare la propria traduzione per il Cinema dell'omonimo ed ottimo romanzo kinghiano di partenza (il cui primo terzo, se non la prima metà, può accampare diritto di rientrare a pieno titolo nella decina - se non forse cinquina - di cose migliori scritte da King, assieme ad “It”, “Insomnia”, “From a Buick 8”, “Revival” etc...), chiama al suo fianco a collaborare (chiamiamolo defatigamento) Dennis Lehane ("Mystic River", "Shutter Island"), già al lavoro s'una serie tratta da un'opera di King, “Mr. Mercedes” (trilogia di romanzi), che con “the OutSider” condivide un personaggio principale, Holly Gibney, qui interpretato da Cynthia Erivo: è lei, la deuteragonista, ad essere l’altra “estranea”, il carattere “fuori dagli schemi” e, giustappunto, l’outsider, oltre all’antagonista, della storia.
Il dittico iniziale è, grazie certamente alla regìa di Jason Bateman - anche attore e produttore -, eccellente, e a tratti assume le sembianze di un piccolo capolavoro “a sé stante”.
(Qui → il romanzo di Stephen King.)
* * * ¾ / * * * * - 7.75
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