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Curon

1 stagioni - 7 episodi vedi scheda serie

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La recensione su Curon

di mck
5 stelle

Un campanile scampanato.

 

Premessa alla Premessa (bias di conferma post-giudizio).

“...le campane del campanile in mezzo al lago […] non ci sono dal 1300!”
Ezio Abbate, durante lo svolgimento dell’intervista fattagli da Alice Cucchetti e pubblicata su FilmTv Rivista n.23, anno 28 (9/6/2020).

Svolgimento della Premessa.

Ora. Non può essere un refuso: la sintassi della frase lo esclude. Può essere un errore di trascrizione da parte di un redattore (poco prima, nella parte iniziale della stessa frase, è stata inserita una NdR per chiarire un altro aspetto del retroterra storico-politico e socio-culturale che ha dato il via alla serie) o di un correttore di bozze; può essere un’errata interpretazione della giornalista (dovuta ad un dialogo avvenuto dal vivo o per via telefonica, ma non scritta), con allegato un po’ di pressapochismo e mancanza d’indagine nella revisione; oppure, può essere che uno dei creatori, soggettisti e sceneggiatori principali (con Ivano Fachin, Giovanni Galassi, Tommaso Matano e Ilaria Castiglioni) della serie NON SAPPIA UNA EMERITA FAVA di ciò che ha utilizzato per dare il via alla storia.

 


Premessa allo Svolgimento.

L’apparizione tutta biotta e ignuda di Valeria Bilello – che è una discreta e financo brava attrice, se e quando viene ben diretta (e “Liberi Tutti” è qui a confermarlo) – in “Sense 8” rimarrà negli annali del “Wow!”.

Svolgimento dello Svolgimento (andamento lento).

Partendo da questa premessa [e memore tanto dei meriggiare pallidi e assorti con sottofondo di MTV Hit List Italia & Roma Live (con Mauro Gurlino in arte Mao, dalla factory di Andrea Pezzi: ecco, ora mi manca solo di citare Massimo Coppola e il mio background culturale è completato) e All Music Show (“Intralci” by Maccio Capatonda), quanto del fatto che esso se la ciula], m’accingo ad impegolarmi e impelagarmi nella faticaccia di stendere questa minima disamina sulla 1ª (e-forse-ultima-chissà) stagione di “Curon”, 7 episodi di circa 45’ l’uno (i primi 4 diretti da Fabio Mollo e gli ultimi 3 - con qualche piccola invenzione di regìa immediatamente sterilizzate e castrate da una contropartita di pateticamente sbagliati, fuori luogo, improvvisati e maldestri rimandi a "the Shining" & Co. - da Lyda Patitucci) by Netflix, dopo essermi imbarcato nell’impresa guiltypleasuresca di portarne a termine l’audiovisione.

 


Les Revenants”, di Patrice Gobert, del 2012, pur essendo un prodotto derivato da un lungometraggio pre-esistente (l’omonimo film di Robin Campillo - collaboratore di fiducia in sede di scrittura e montaggio di Laurent Cantet - del 2004), rimane altresì un lavoro a suo modo miliare e fondativo per la serialità recente (post-2000) del vecchio continente escluso il Regno Unito (verranno poi “Dark” dalla Germania, “the Rain” dalla Danimarca, etc...), pur non essendo certo un capolavoro.
Dico questo perché, sempre appoggiandomi alla breve intervista apparsa su FTV, a domanda [“E ispirazioni seriali? Twin Peaks (???; NdR), Les Revenants?”], lo sceneggiatore risponde: “Piuttosto abbiamo usato dei riferimenti “al contrario”, cercando di allontanarcene, di fare qualcosa di diverso.”
Ad esempio qualcosa di… brutto? Beh, missione compiuta.

Perché “Curon” - che s’attesta una spanna, ma pure due, dal versante growing up, sopra “Baby”, e per l'aspetto fantasy/SF/mistery, sopra “WayWard Pines” (mentre “Luna Nera” ancor mi manca e penso continuerà a mancarmi…), per dire... - altro non è che un’accatastata caterva di insipide citazioni, squallidi saccheggi [se gli sceneggiatori avessero avuto il coraggio situazionista di copiare per intero dal 1° segmento del 1° episodio dell'8ª stagione (1996-'97) dei Simpson - "TreeHouse of Horror VII - the Thing and I"... quella sarebbe stata la parte migliore dell'intera serie...] e orde, moltitudini e legioni di stereotipi unti e bisunti, triti e ritriti, calati dall’alto a pioggiante spaglio s’una base solida, ma sterilmente ben presto licenziata, di una toponomastica folklorica e una geo-storiografia politica che vengono messe a fare da sfondo, ma senza consegnare loro la possibilità di assurgere a scenario.

 


Non si fa in tempo ad apprezzare piccole tracce di sottili intuizioni psicologiche e comportamentali e di buone interpretazioni di alcuni membri del cast…

[nell’ordine, i due fratello e sorella Raina e i due altrettali Asper: Margherita Morchio (praticamente alla sua seconda performance dopo “Succede”, e forse la migliore del gruppetto di adolescenti che adolescono) e Federico Russo (tanta brutta serialità tv Rai, Mediaset e Disney, che però non l’ha rovinato), e, per quanto riguarda la quota appartenente alla regione autonoma altoatesina/sudtirolese/italotedesca, i due esordienti totali, Juju (sì…) Di Domenico e Giulio Brizzi, a tratti anche molto bravi e per altri versi ovviamente ancora acerbi, ai quali si aggiunge il volto interessante di Luca Castellano, dal Centro Sperimentale. Poi, a chiudere l’ensemble: un invecchiato (dal trucco e parrucco) Luca Lionello (reduce da “YouTopia”, e siam lì) dalla prestazione altalenante, Alessandro Tedeschi (buonissima prova), Anna Ferzetti, e le due facce indimenticabili di Max Malatesta e Maximilian Dirr]

…che si è avvolti, attorniati, avvinti, stravolti, sconvolti e abbattuti da facilonerie, ingenuità, scorciatoie, semplificazioni, banalità, incongruenze [i ragazzi, conoscitori - se pur a grandi linee - dei luoghi natali (“carino” invece lo scambio su “Il muschio cresce sulle superfici rivolte a nord!” / “Eeeh?!?”, quando persino Diego Fusaro - che in quanto a rapporti col mondo è fermo alla seconda media - potrebbe saperlo), vagano nei boschi per due giorni finché si scopre che tanto il loro focolare di una notte quanto la loro meta finale sono entrambi raggiungibili da una carrozzabile…].

Fotografia di Benjamin Maier (SKAM, il Cacciatore, Mollami). Fra le musiche non originali, potendo scegliere, gli autori hanno optato per M¥SS KETA invece di, che ne so, Chadia Rodríguez: bah, così, giusto per dire, eh: boh. Mentre per le scuse a Beth Gibbons, Geoff Barrows & Co. dato l'uso improprio di "Machine Gun" v'è sempre tempo. Curon Venosta e il bacino imbrifero artificiale del lago di Resia interpretano loro stessi. 

 

 
Ah, e Valeria Bilello, alla fine, non le/la/lo esce.


A corollario, a proposito di campane e di paesi (semi)sommersi, recuperate “Rintocchi dal Profondo” (“Glocken aus der Tiefe”) di Werner Herzog [che, ricordiamolo, fa cose, sempre (“Man, Relax!”), tipo, qui: sentire voci e altri suoni].

* * (¼) ½ (¾) - 5        

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