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Da 5 Bloods - Come fratelli

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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La recensione su Da 5 Bloods - Come fratelli

di mck
8 stelle

The Bloods is back!

 

 

“War is about money. Money is about war.”

Il cinema - così come la letteratura - è da sempre, per sua intima natura fondante, Pornografia della Memoria [il termine - un sostantivo quasi neutro, derivando dal greco pòrne-graphè, ovvero prostituta + disegno/scritto - è qui utilizzato nella sua accezione, diciamo, “psico-filosofica”: esegesi della (ri)capitolazione, rivelazione/epifania della de-compartimentazione e tanto stupro quanto ri-nascita (le cattive azioni non cancellano le buone, così come le buone azioni non ripagano delle cattive) del segreto (in)custodito: eternal sunshine of the spotless mind], in imperterrita ricerca e riproposizione della realtà che rappresenti un’univoca verità che si stagli sopra le parti in causa e in gioco, ma che non per questo risulti per forza semplicemente accessibile: attraverso i suoi propri e vari dispositivi ed artifici inquadra l’ininquadrabile: i flashback che analetticamente protendono i loro pseudopodi spaziotemporali là dove il ricordo diventa sfumato a causa dell’eterno processo di ri- e sovra- scrittura qual è il ricordare, le ellissi che instaurano un grado ulteriore di significato e senso là dove in apparenza questi erano secretati e celati dalla polvere del tempo, dall’agire del caso e dalle intenzioni degli uomini, e la tangibile e costitutiva onnipresenza, volente o nolente, del multiplo-univoco PdV onnisciente dell’autore, espresso attraverso un intermediario (il voice over del narratore extra-diegetico) o “solo” grazie allo sguardo attivo (e attante) del regista (e di conseguenza dello spettatore/lettore).

 


“There are things about me that you will never know or understand, David. I wish I could turn back the hands of time. I can't. Nobody can.”

E così, la pervicacemente ingenua didascalicità (l’utilizzo del coppolianamente celeberrimo - uno stereotipo di per sé - brano wagneriano presente all’inizio del terzo atto de “la Valchiria”, il secondo dramma musicale che compone il ciclo dell’Anello del Nibelungo, è stato inserito con evidente modalità anti-climatica in risposta al e in dialogo col precedente uso "folcloristico-commerciale" del conradiano - e kennedy-johnson-nixoniano - film-monstre di Coppola - limine tra consapevole riappropriazione della propria storia pre-masticata da altri, ma vissuta da noi, e... sempiterna e cosmopolita tamarritudine - con la scritta al neon riportante il nome apocalittico-presente del locale a fare da sfondo alla postazione del DJ durante la sua performance dal palco: un po' come se una discoteca in Italia negli anni '80 si fosse chiamata la Ciociara... E non che certo reputi impossibile la cosa...) e l’innocentemente strumentale semplificazione (l’incerta geografia vietnamita - interpretata dall’equivalente topografia thailandese - che percorrono i protagonisti per spostarsi da “Voi Siete Qui” ad “X” col conseguente apparentemente agevole e veloce ritrovamento del filone di lingotti d’oro venutosi a creare a causa dello sfondamento della valigia/baule che ha disperso il suo carico lungo lo smottamento che ha interessato il declivio collinoso sul quale la jungla ha in 40 anni ripreso dominio dopo il passaggio di tonnellate di Napalm-B e Agente Orange) messe in atto da film come “Miracle at Sant'Anna” (schifosamente sottovalutato quando non stupidamente denigrato dai più) e “Old Boy” (ma si pensi anche a “Malcolm X”) sono qui riproposte all’ennesima potenza anche fuori dal contesto “statunitense che ambienta il proprio film in Europa” (si consideri l’accolita di mentecatti che, per criticare negativamente un film come “To Rome with Love”, frignando raglia stracciandosi le vesti: “Questah non è l’Italiaaahh!!11!!”, quando in realtà stanno sputandosi allo specchio) e “statunitense che gira un remake di film asiatico ambientandolo in U.S.A.”, e il loro operato cristallizza, precipita e catalizza un concentrato di segreti pulcinelliani e poesche lettere rubate [ritornando alla Pornografia della Memoria: solo il regista, gli spettatori e i due diretti interessati sa(pra)nno com’è morto Norman “Stormin' Norm” Holloway, l’unico dei 5 “fratelli di sangue” ad essere rappresentato “forever young” per evidenti, motivate, ragionevoli e stilisticamente interessanti scelte artistiche] e un distillato di stereotipati momenti in cui topoi, cliché ed espedienti comuni rilasciano tutto il loro deflagrante potenziale sintatticamente classico (il campo minato di Cechov), da una parte, ed emozionalmente didattico (i contestualizzanti, furibondi e commoventi inserti storiografici e cronachistici di repertorio tra metà anni ‘50 e fine anni ‘70, con particolare concentrazione di dati e note a piè di pagina da fine anni ‘60 a inizio anni ‘70: il massacro di My Lai, Malcolm X, Martin Luther King, Angela Davis, Ho Chi Minh, le uccisioni degli studenti da parte della guardia nazionale alla Kent State University in Ohio e da parte della polizia di stato alla Jackson State University in Mississippi, i bonzi vietnamiti e i gonzi alla White House, la caduta di Saigon e i profughi sud-vietnamiti*), dall’altra.

*Boat People.
- https://ilbolive.unipd.it/it/news/boat-people-vietnamiti-quarantanni-dopo
- https://www.ilsole24ore.com/art/missione-vietnam-40-anni-fa-salvataggio-boat-people-ACaW2uV
- https://www.termometropolitico.it/1455616_quando-negli-anni-80-la-marina-militare-italiana-riusci-a-fare-limpossibile.html

 

 

“Quei damerini di Hollywood che riprovano a vincere in Vietnam!”

Se l’inizio (la prima dozzina di minuti - dalla hall dell’hotel all’arrivo al disco-bar - è quasi un film nel film, un cortometraggio da 9 pieno) contiene una “normale” e potentissima carrellata all’indietro a ritrarre i protagonisti ad avanzare verso di essa, ecco che il marchio di fabbrica di Lee, ovvero il Double Dolly Shot**, un’altra carrellata all’indietro, in avanti e/o all'intorno coi personaggi che avanzando, retrocedendo e/o ruotando sono messi a fluttuare su piattaforma mobile rendendoli al contempo estranei alla situazione ed estraniati dal contesto e ulteriormente partecipi alla precipua e contingente circostanza esperienziale, lo si ritrova nel finale (come nel precedente “BlacKkKlansMan”), mentre, nel mezzo, il momento che non t’aspetti: la lunga scena della separazione con cadavere in campo***, all’inizio del terzo ed ultimo atto (ritorno - scoperta – battaglia), architettata e messa in scena con una forma d’impianto teatrale e svolta in una radura nell’ecotono tra la semi-jungla pluviale e la foresta secca sub-tropicale: i personaggi in stallo messicano posti ad occupare i punti cardinali, un paio di cadaveri al suolo come pietre miliari e gli alberi a fare da sipario e limine tra il palco e il proscenio e poi da addomesticate rousseau-doganieresche retroscene, fondali e quinte quando l’eroe classico vi si dirige contro e perde dentro attraversandole e scomparendo.

 

**Questo.


***Questa.

 

“After you've been in a war, you understand it really never ends. Whether it's in your mind or in reality.”

Da 5 Bloods, i forever old: Delroy Lindo (“Malcolm X”, “Crooklyn”, “Clockers”, “Heist”, “Domino”, “the Good Fight”), Clarke Peters (“OutLand”, “Mona Lisa”, “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri”, “True Detective - 1”, “the Deuce - 1” e indimenticabile in “the Wire” e “Treme”), Isiah Whitlock Jr. (“25th Hour”, “She Hate Me”, “Europa Report”, “the Wire” (“Sheeeeeit!”), “the Old Man & the Gun”, “Chi-Raq”, “BlacKkKlansMan”), Norm Lewis (performer in musical di Broadway) e - per sempre giovane - Chadwick Boseman (“Black Panther”).
Il 6°, di 2a generazione: Jonathan Majors (recentemente apprezzato nel bellissimo “the Last Man in San Francisco”).
Chiudono il cast: Jean Reno, Mélanie Thierry (che confondo sempre con Mélanie Laurent per il nome e con Léa Seidoux per la somiglianza: ma son problemi miei), Paul Walter Hauser (“Richard Jewell”, “BlacKkKlansMan”), Jasper Pääkkönen (“Vikings”, “BlacKkKlansMan”), Van Veronica Ngo (Hanoi Hannah: Good Morning VietNam!), Johnny Nguyen, Lam Nguyen, Lê Y Lan, Sandy Huong Pham…

 


Lo spec(ulative) script originale di Danny Bilson e Paul De Meo, dopo essere rimbalzato da Oliver Stone a Spike Lee per vie produttive, viene rimaneggiato dal regista stesso col suo sceneggiatore di fiducia dell’ultimo lustro, Kevin Willmott (“Chi-Raq” e “BlacKkKlansMan”).
Fotografia del buon Newton Thomas Siegel (Singer, Clooney, Refn, Gilliam, Redford, Russell, Rafelson, Newell), alla prima prova per/con Lee, senza guizzi (il formato 1.85:1 passa tanto all'1.33:1 quanto al 2.39:1 con dottrinale gnomicità: è un apparato/attrezzo/marchingegno cinematografico che, se usato bene, conta, nell'economia di un'opera, e canta, risuona, fiammeggia, orchestra e, qui, evidenzia l'evidenza, come il topastro alla fine di "the Departed"...). Montaggio di Adam Gough (al fianco di Cuarón per “Roma”).

La colonna sonora è equamente divisa tra le sempre ottime e riconoscibili musiche originali di Terence Blanchard (un po’ difficili da digerire, ad esempio durante la scena di battaglia - come del resto già avveniva, né più né meno, nel già citato "Miracle at Sant'Anna" -, poco dopo l’inizio: ma poi giunge il silenzio, e l’effetto contrasto è dirompente) e quelle non originali, principalmente prese dal catalogo di Marvin Gaye, con ulteriori pezzi di Freda Payne, the Spinners, the Chambers Brothers e Curtis Mayfield [con “(Don't Worry) If There's A Hell Below We're All Going To Go” già recentemente riportata alal ribalta da David Simon con la 1ª stag. di “the Deuce”].

 


«Come canta Aretha Franklin: “You better think”!» Ma quando c’è da saltare s’una mina, ecco che il giusto pensiero si trasforma, ruotando di 180°, nella giusta azione…

Quest’ultimo lavoro di Spike Lee è, in grande, la premessa contestualizzante che HBO ha appiccicato a “Gone with the Wind”, appartiene a quella schiera di azioni, e solo DioMadonna sa quanto questo mondo di bimbiminkia, dummies e parenti-amici-vicini-colleghi infeltriti (ma anche giordanizzati, belpietriti, vespasiani...) necessiti di ciò.

“We fought in an immoral war that wasn't ours, for rights we didn't have.”

The Bloods is back!

 

* * * ¾ (****)      

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