ARGENTO ROSSO SANGUE
Uno dei tantissimi volumi dedicati a Dario Argento recava come sottotitolo Il cinema di D.A. tra genere e autorialità. Si trattava di una bella pubblicazione – Argento vivo, curata da Vito Zagarrio per Marsilio – giunta in occasione di una retrospettiva completa, datata 2008, al Festival di Pesaro, che da sempre omaggia i grandi cineasti della storia del cinema italiano. Dopo la cinefilia militante e i saggi accademici, Argento concludeva dunque quell’anno la lunga marcia verso l’istituzionalizzazione e la conquista del quarto di nobiltà artistica. Genere e autorialità. Già. Dove abita il cinema di Dario Argento? Questione di lana caprina, se non fosse che per comprendere appieno come abbia funzionato l’opera del regista è necessario anche comprenderne la ricezione culturale. Come per Sergio Leone (il suo vero maestro, probabilmente), non è vera infatti la vulgata secondo la quale Argento non sia stato difeso dalla critica.
Sia pure minoritaria, una fetta di sostenitori si era fatta sentire da subito, quando il giovane regista romano compariva sulle movimentate scene di inizio anni ‘70 con L’uccello dalle piume di cristallo. Certo, dagli anni ‘80 in poi, messe in soffitta le idee pedagogiche di cinema medio, i critici riconosceranno gli errori e gli “argentiani” avranno modo di rialzare la testa. Ma torniamo agli inizi.
Lo scenario del “giallo” (da pronunciarsi all’americana: lo chiamano così gli anglofoni, per intendere thriller sanguinosi e all’italiana) era certamente meno noto prima del suo esordio. Eppure non si può non citare Mario Bava, che negli anni ‘60 aveva girato La ragazza che sapeva troppo e Sei donne per l’assassino, influenti su Argento, ma c’erano anche altri precedenti come La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi, e vari film di Fulci, Lenzi, Rondi. Non si può dire che con L’uccello dalle piume di cristallo si apra una improvvisa rivoluzione o si sia creata una situazione da sasso nello stagno.
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SPOSTAMENTI PROGRESSIVI DEL GIALLO
Argento, nato nel ’40 e figlio di un funzionario dell’Unitalia Film e di una fotografa di moda, aveva studiato poco e male, privilegiando una formazione culturale parigina e movimentista, per poi mettersi prima a fare il critico per “Paese Sera” (difendendo da subito i prodotti di genere) e poi il collaboratore di figure come Bertolucci e Leone. Con il primo, e per la regia del secondo, sceneggia C’era una volta il West (1969), collaborazione curiosamente sottovalutata da molti biografi e saggisti.
Pare che al trentenne Dario non andasse nemmeno troppo di girare quel primo film, che aveva scritto per eventuali altri. Poi, deciso che lo avrebbe realizzato lui, non trova il produttore, infine se lo finanzia da solo con il padre, fondando la casa di produzione SEDA, e riducendo al minimo costi e giorni di set. Risultato: un miliardo di vecchie lire di incasso.
Se lasciamo sullo sfondo la burrascosa vita privata (di cui si ha oggi un assaggio nel semi-autobiografico Incompresa di sua figlia Asia), e ci limitiamo alla filmografia, possiamo affermare che è il completamento della trilogia degli animali - Il gatto a nove code (1971); Quattro mosche di velluto grigio (1971) - ad affermare più chiaramente che è nato un genere e che Dario Argento si erge come leader incontrastato. Sebbene sia ancora presto per la fama internazionale (che comunque non tarderà e che lo rende ancora oggi uno dei cineasti più omaggiati, da De Palma a Tarantino), comincia di lì a poco la forsennata corsa – tipica del cinema italiano – all’imitazione, allusione, riproposta del marchio: Una lucertola con la pelle di donna di Fulci è già del 1971, tanto per citarne uno.
Che cosa colpiva, dei film di Argento? A distanza di tanti anni, sono forse due le questioni principali, che non andrebbero confuse con interpretazioni ex-post: la violenza esplicita e la tecnica. Per la prima volta, proprio mentre in America si affacciava un new horror molto aggressivo, Argento metteva in scena omicidi efferati e corpi massacrati. Rasoiate, decapitazioni, teste sfondate, fendenti e coltellate, fin dai primi film la violenza conta moltissimo e sciocca un pubblico italiano disabituato a certi livelli di visibilità. Il sangue, fin da subito, diviene il più importante fattore di popolarità del regista e il maggior indiziato per la stroncatura dei critici più tradizionali. La tecnica, in un processo affine e solidale con la violenza, a sua volta si rende aggressiva, sorprendente, padroneggiata in maniera ossessiva, e costruisce ribaltamenti inconsueti e considerati simbolici (lo spettatore in soggettiva o semi-soggettiva con l’assassino mentre uccide le vittime innocenti).
IL SAPORE DELLA PAURA
Tra pubblico e critica, idem come sopra: il pubblico apprezza, magari senza accorgersene, e sente il sapore di un prodotto nuovo, e - perché no - libero anche ideologicamente. La critica ulula per l’eccesso di virtuosismo e le carenze negli altri comparti (trama soprattutto). Tutto il resto non conta, o almeno non direttamente. L’impatto è incalcolabile, tanto è vero che i fan della prima ora sono assai sorpresi di fronte a Le cinque giornate (1973), pamphlet risorgimentale molto arrischiato, pieno di furia politica e di scelte anticonformiste ma anche velleitario, squinternato. Mai più, sembra dirsi Argento, che due anni dopo mette a segno il successo più maiuscolo e realizza il film che più di tutti entra nel culto nazionale e internazionale, Profondo rosso (1975).
Suspiria (1977) apre il periodo horror – lo sono un po’ anche i precedenti, ovviamente, ma qui c’è il soprannaturale – e con Inferno (1980) lo prosegue. Si tratta di film che enfatizzano al massimo le soluzioni stilistiche di Argento, e che testimoniano di quel periodo nel quale un autore, percepito se stesso nei discorsi dei media e della stampa, conosciuti nel profondo i suoi ammiratori, e in piena consapevolezza degli effetti sullo spettatore, offre un “upgrade” pur servendo sempre il piatto per cui è divenuto celebre.
HORROR E ROCK
È periodo di canonizzazione mondiale, di interviste fiume, di stardom registica, di polemiche – velenosamente, Ezio Ungari racconta per iscritto di un Dario Argento che il 29 aprile 1980 chiama tutta Roma per piangere la morte di Hitchcock, accreditandosi dunque come suo allievo e figlio legittimo. E se Tenebre (1982) segna un ritorno non troppo convinto al giallo-sangue, con Phenomena (1985) Argento ritrova un grande successo e ci ricorda (grazie a una colonna sonora metà compilation e metà originale) che il fattore della musica ha sempre fatto parte del bagaglio di originalità dell’autore. Imprescindibile, la collaborazione con Claudio Simonetti e i suoi Goblin, cominciata con Profondo rosso, era destinata a fare storia grazie a colonne sonore ampiamente citate dal mondo del pop, del rock, dell’electro e persino della musica colta, oltre che nelle musiche del cinema horror degli anni a seguire.
LA PROVA DEL TEMPO
Le ambizioni crescono, anche tecnicamente - l’uso della macchina da presa Loumia in Tenebre, le acrobazie della camera in Opera (1987), dove si trova anche la famosa citazione di Arancia meccanica, le allusioni nobili come La sindrome di Stendhal (1996) - ed è forse in questo periodo che Argento sembra tentare l’ultimo vero assalto: entrare dalla porta principale del cinema d’autore italiano senza rinunciare al sangue e alla paura, suo terreno d’elezione.
Curiosamente, questo processo è già in atto, perché nel frattempo – anche grazie ai registi americani che lo venerano e al movimento “bis” del cinema popolare che alza la testa e lo esalta tutte le volte che può - l’istituzionalizzazione è garantita. Argento, di lì a poco, verrà studiato nelle aule dei Dams. Poi arriva lo sbarco in America, più volte timidamente approcciato (Due occhi diabolici (1989), con il Romero di cui aveva “curato” - con risultati catastrofici - una assurda versione italiana di Vampyr; e poi Jenifer & Pelts dei Masters of Horror); c’è la serie di film con la figlia Asia, tra cui Trauma (1993), Il fantasma dell’opera (1998), La terza madre (2007, che chiude la trilogia cominciata con Suspiria); c’è il rapporto complicato e deludente, per reciproche diffidenze, con la televisione, promettente negli anni ‘70 di La porta sul buio, poi senza nerbo in Ti piace Hitchcock?; ci sono i tentativi di ritornare alle atmosfere degli esordi, con Nonhosonno (2001) e Il cartaio (2004). E ci sono infortuni internazionali come Giallo (2009) e Dracula 3D (2012).
All’Argento delle ultime decadi si imputa di aver perso il tocco, di essere disinteressato alla recitazione e alla sceneggiatura, di rifare se stesso, di non parlare al mondo. Ma, esclusa la prima, sono accuse che venivano già scoccate nel periodo d’oro, la vecchia questione dello stile maestoso e della narrativa irricevibile. No, non sembra questo il problema, quanto piuttosto una trasformazione profonda dei tempi e degli spettatori, quelli che Argento in primis ha convinto di poter amare un cinema di genere puro ed energico, e che ora – di fronte ad allievi internazionali ben più competitivi ed eccitanti – non sono più disposti a perdonare certe fragilità. Eppure, il rispetto e la consacrazione di cui gode Argento non ne vengono mai ridimensionati.
Che cosa è stato dunque il cinema di Dario Argento? La modesta proposta è che si torni a Sergio Leone. Mai riconosciuto come vero maestro, a noi sembra che il regista romano abbia invece applicato al thriller e all’horror la formula (aggiornata, ovviamente) di Leone per il western. Reinventare il genere, saccheggiare i maestri, iniettare artigianalità e tecnica italiane in prodotti di sapore statunitense, parlare a nuovi spettatori e a nuove forme di consumo, rifiutare brutalmente il ricatto del cinema d’impegno civile, cominciare a pensare al cinema come a un gioco e a un catalogo di forme autonome, liberare gli spettatori dalle sovrastrutture culturali. Quegli spettatori che – per Argento come per Leone – sono arrivati prima della critica, dell’accademia e degli intellettuali.
1967-1977 ITALIA VIOLENTA
Il profumo della signora in nero
Horror - Italia 1974 - durata 105’
Regia: Francesco Barilli
Con Mimsy Farmer, Maurizio Bonuglia, Mario Scaccia, Orazio Orlando, Aldo Valletti, Jho Jenkins
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Un borghese piccolo piccolo
Drammatico - Italia 1977 - durata 122’
Regia: Mario Monicelli
Con Alberto Sordi, Shelley Winters, Romolo Valli, Vincenzo Crocitti
Io ho paura
Drammatico - Italia 1977 - durata 120’
Regia: Damiano Damiani
Con Gian Maria Volonté, Erland Josephson, Mario Adorf, Angelica Ippolito
Il mostro
Drammatico - Italia 1977 - durata 105’
Regia: Luigi Zampa
Con Johnny Dorelli, Sydne Rome, Renzo Palmer, Yves Beneyton
in streaming: su Google Play Movies Amazon Video Timvision
...e tanta paura
Thriller - Italia 1976 - durata 95’
Regia: Paolo Cavara
Con Michele Placido, Corinne Cléry, Tom Skerritt, Eli Wallach, John Steiner
in streaming: su Amazon Prime Video Amazon Video Google Play Movies Timvision
La casa dalle finestre che ridono
Horror - Italia 1976 - durata 110’
Regia: Pupi Avati
Con Lino Capolicchio, Francesca Marciano, Gianni Cavina, Vanna Busoni, Giulio Pizzirani, Bob Tonelli
in streaming: su Amazon Prime Video Nexo Plus Amazon Video Timvision
I quattro dell'Apocalisse
Western - Italia 1975 - durata 105’
Regia: Lucio Fulci
Con Fabio Testi, Lynne Frederick, Tomas Milian, Michael J. Pollard, Harry Baird, Adolfo Lastretti
in streaming: su Plex
L'ultimo treno della notte
Drammatico - Italia 1975 - durata 91’
Regia: Aldo Lado
Con Flavio Bucci, Macha Meril, Enrico Maria Salerno, Franco Fabrizi, Gianfranco De Grassi, Marina Berti
in streaming: su CineAutore Amazon Channel
Macchie solari
Drammatico - Italia 1975 - durata 85’
Regia: Armando Crispino
Con Mimsy Farmer, Barry Primus, Ray Lovelock, Carlo Cattaneo, Angela Goodwin, Gaby Wagner
in streaming: su Plex
Milano odia: la polizia non può sparare
Poliziesco - Italia 1974 - durata 96’
Regia: Umberto Lenzi
Con Tomas Milian, Henry Silva, Ray Lovelock, Gino Santercole, Laura Belli
La polizia chiede aiuto
Poliziesco - Italia 1974 - durata 90’
Regia: Massimo Dallamano
Con Giovanna Ralli, Claudio Cassinelli, Mario Adorf, Franco Fabrizi
in streaming: su Amazon Video Google Play Movies
Se sei vivo spara (Oro Hondo)
Western - Italia/Spagna 1967 - durata 115’
Regia: Giulio Questi
Con Tomas Milian, Marilù Tolo, Roberto Camardiel, Ray Lovelock, Piero Lulli, Milo Quesada
Non si sevizia un paperino
Thriller - Italia 1973 - durata 110’
Regia: Lucio Fulci
Con Florinda Bolkan, Barbara Bouchet, Tomas Milian, Irene Papas, Marc Porel, Georges Wilson
I corpi presentano tracce di violenza carnale
Giallo - Italia 1973 - durata 95’
Regia: Sergio Martino
Con Suzy Kendall, Tina Aumont, Luc Merenda, John Richardson, Roberto Bisacco, Ernesto Colli
in streaming: su Amazon Video
Milano calibro 9
Poliziesco - Italia 1972 - durata 97’
Regia: Fernando Di Leo
Con Gastone Moschin, Barbara Bouchet, Mario Adorf, Frank Wolff, Luigi Pistilli, Ivo Garrani
in streaming: su Raro Video Amazon Channel Google Play Movies Rakuten TV Apple TV Rai Play Amazon Video Netflix Netflix basic with Ads Timvision
Cosa avete fatto a Solange?
Giallo - Italia, Germania 1972 - durata 107’
Regia: Massimo Dallamano
Con Fabio Testi, Karin Baal, Joachim Fuchsberger, Cristina Galbó, Günther Stoll, Claudia Butenuth
in streaming: su Amazon Video
La polizia ringrazia
Poliziesco - Italia/RFT 1972 - durata 93’
Regia: Steno
Con Enrico Maria Salerno, Mariangela Melato, Mario Adorf
in streaming: su Amazon Prime Video Amazon Video Timvision
Una lucertola con la pelle di donna
Thriller - Italia, Francia, Spagna 1971 - durata 105’
Regia: Lucio Fulci
Con Florinda Bolkan, Stanley Baker, Leo Genn, Jean Sorel, Anita Strindberg, Silvia Monti
in streaming: su Amazon Prime Video Amazon Video Nexo Plus Timvision
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
Drammatico - Italia 1970 - durata 114’
Regia: Elio Petri
Con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando
in streaming: su Now TV
5 bambole per la luna d'agosto
Thriller - Italia 1970 - durata 85’
Regia: Mario Bava
Con Edwige Fenech, Howard Ross, Justine Gall
I ragazzi del massacro
Drammatico - Italia 1969 - durata 92’
Regia: Fernando Di Leo
Con Pier Paolo Capponi, Susan Scott, Marzio Margine, Renato Lupi
Così dolce... così perversa
Thriller - Italia/Francia/Germania 1969 - durata 92’
Regia: Umberto Lenzi
Con Carroll Baker, Jean-Louis Trintignant, Erika Blanc, Helga Liné