C’era una volta un vasto non luogo pieno zeppo di spazio; una provincia anonima e uguale a tante altre, fatta di appartamenti sbeccati, ciarpame abbandonato, uffici trasandati, campi incolti, spiazzi crepati, costruzioni mai finite, strade malconce, tralicci male in affare, corsi d’acqua luridi, capanni tenuti in piedi con sputo e fil di ferro, erbacce ostiche, sterrati infangati, finestre rotte, cantieri aperti di malavoglia e abbandonati più che volentieri, cemento colato in fretta e rimasto a crepare per sempre.
C’era una volta un vasto non luogo adagiato in un inquietante non tempo poetico, in cui gli smartphone convivono con vecchie automobili analogiche e con un inafferrabile serial killer che potrebbe essere rimasto l’unica persona al mondo a godersi la paziente bellezza di scrivere a mano (ma in stampatello) lunghe lettere deliranti che descrivono – ostentano – fin nei minimi dettagli interiori ed esteriori ogni cruento assassinio che compie, infiorettando la propria prosa con riflessioni nichiliste e pedantemente letterarie che gli valgono un soprannome di un certo peso: Dostoevskij.
A dargli la caccia (con lo stesso sentimento di deprimente ineluttabilità e di confusione esistenziale con cui l’omicida descrive i propri gesti) è una squadra di poliziotti triste e disperata, guidata da Enzo Vitello: un rottame d’uomo alcolizzato, con tendenze suicide, abbandonato a se stesso dalla poca famiglia che gli è rimasta – una figlia poco più che adolescente e autodistruttiva – e in grado di comportarsi in maniera extra-spiacevole con le persone che, obbligate dal lavoro, sono costrette a frequentarlo.
Dostoevskij, inizialmente, sembra la balena bianca di Vitello. Man mano che le lettere aumentano e diventano sempre più dettagliate nel delineare la propria filosofia, però, Dostoevskij diventa quasi un amico. Una persona con cui condividere una visione del mondo troppo cupa (e troppo vera) per poter essere accettata da gente normale; da gente che vive solo la parte illuminata della vita e ha avuto il privilegio (o la colpa) di non visitare mai il lato oscuro. Un’ossessione che difficilmente potrà risolversi in un lieto fine.
I gemelli D’Innocenzo, Damiano e Fabio, mettono la quarta (dopo La terra dell’abbastanza, Favolacce e America Latina) e ingranano alla perfezione un’altra volta. Trovando l’ennesima maniera diversa ma uguale per essere se stessi ed esprimere una visione del mondo affascinante e conturbante attraverso il racconto e l’arte cinematografica, sperimentando al confine tra diversi linguaggi e, stavolta, anche formati. Dostoevskij è un noir (pur senza neon) ed la più classica delle storie su un detective che dà la caccia a un serial killer; ma è anche una storia di catarsi che però parte dall’abisso più profondo, da una lettera di suicidio e da una fila di flaconi di medicinali vuoti.
Dostoevskij è una serie in sei puntate Sky Original che approderà sul piccolo schermo entro la fine dell’anno; ma è anche un film presentato in anteprima mondiale alla 74ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino e distribuito in sala da Vision Distribution nella settimana dall’11 al 17 luglio, diviso in due atti di due ore e mezza ciascuno. Dostoevskij è una ferita aperta, lo squarcio che separa il buio dalla luce, beatificato da una trimurti di protagonisti – Filippo Timi, Gabriel Montesi e Carlotta Gamba – maledetta da un’umanità poetica e sanguinante.
La serie tv
Dostoevskij
Thriller - Italia 2024 - durata 50’
Titolo originale: Dostoevskij
Regia: Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
Con Leonardo Capuano, Filippo Timi, Marco De Bella, Simon Rizzoni, Rocco Marazzita, Damiano D'Innocenzo
Al cinema: Uscita in Italia il 11/07/2024
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta