Forse, in questo mondo (il nostro) in cui tutto è virtualmente a disposizione e ogni tipo di informazione e conoscenza può essere consultata con estrema facilità, il vero nuovo problema è rappresentato, tautologicamente, proprio da questa totale, indiscriminata accessibilità. Non siamo più in grado di immaginarci un mondo diverso da quello che ci pervade e invade, anche passivamente, e quando ci proviamo siamo comunque in difficoltà per mancanza di contesto, di preparazione, di volontà nel chiudere un gap che ci appare quasi alieno. È in questa lacuna che dovrebbe inserirsi il cinema, quello significativo; quello che è in grado di raccontare senza spiegare, di mostrare senza istruire, di colmare laddove le distanze (letterali e metaforiche) siano diventate troppo grandi per la nostra soglia dell’attenzione sempre più risicata. Il cinema di C’era una volta in Bhutan, il secondo film diretto (ma anche sceneggiato e co-prodotto) dal quarantenne bhutanese Pawo Choyning Dorji, è esattamente quello di cui avevamo bisogno.

Pawo Choyning Dorji
C'era una volta in Bhutan (2023) Pawo Choyning Dorji

Da quando è stata presentata al mondo, la seconda regia di Dorji – già candidato all’Oscar per il Miglior film straniero con il lungometraggio d’esordio Lunana: Il villaggio alla fine del mondo – è passata in concorso al Telluride Film Festival, è stata programmata al Toronto International Film Festival, ha vinto il premio speciale della giuria alla Festa del Cinema di Roma e ora arriva finalmente in sala anche in Italia (dal 30 aprile) grazie all’opera, al solito preziosa, di Officine UBU. C’era una volta in Bhutan porta sugli schermi occidentali una storia di normale evoluzione da parte di un piccolo paese isolato e invitto, la cui famiglia regnante decide, dopo un secolo di governo monarchico ereditario, di fare spazio alla democrazia. Quello che per noi appare come un passaggio logico, naturale e semplice – ma solo perché, personalmente, lo abbiamo vissuto tramite due paragrafi nel libro di storia delle superiori, sempre che l’insegnante riesca ad arrivare con il programma alla fine della Seconda guerra mondiale – è in realtà un momento epocale e di grande difficoltà per una società che si affacciava solo in quel momento, per la prima volta, ai mezzi di comunicazione di massa.

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C'era una volta in Bhutan (2023) scena

Il 15 dicembre 2006, il quarto Druk Gyalpo (il Re Drago) Jigme Singye Wangchuck annunzia ufficialmente urbi et orbi (in radio) che abdicherà affinché il Bhutan possa diventare una democrazia. Non più Regno del Bhutan, dunque. D’altronde televisione e internet si sono da pochissimo affacciate nelle vite delle persone del paese, che hanno appena scoperto chi è James Bond, oltre ad avere accesso ad altre, inedite informazioni. E ora il Re ha deciso di concedere il dono più grande di tutti: il popolo potrà scegliere il proprio leader. Ma il popolo non sa bene come si fa, a eleggere un proprio leader. Letteralmente.

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C'era una volta in Bhutan (2023) scena

Nessuno degli 800mila abitanti, bhutanese più bhutanese meno, ha mai sperimentato un’elezione, né ha mai avuto il piacere di leggerne le cronache provenienti dall’estero. In questo contesto di fibrillazione buddhista, il giovane monaco Tashi viene incaricato dal suo anziano lama di procurargli due fucili. È una richiesta assurda per una serie di motivi: viene da un bonzo che ha più o meno l’età della sabbia e, a maggior ragione, dovrebbe aver raggiunto la pace dei sensi; arriva in un momento così particolare del paese da far temere (allo spettatore) che possano sussistere collegamenti potenzialmente tragici; senza contare che il Bhutan è noto per la sua scarsità di armi da fuoco, a cui ha potuto rinunciare poiché l’ultima guerra in cui è il paese stato coinvolto (uscendo vittorioso dallo scontro contro il Tibet) risale a cinquecento anni fa.

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C'era una volta in Bhutan (2023) scena

Nel frattempo, oltretutto, si inserisce nel quadro anche il turista statunitense Ron Coleman, in viaggio nel paese asiatico per acquistare un fucile antico per conto di un collezionista. Mentre gli abitanti dei villaggi sono alle prese con gli emissari del governo – spediti nelle varie province, soprattutto quelle più remote, per addestrare i cittadini con una simulazione di seggio – Tashi e Ron cercano di portare a termine le rispettive missioni, inevitabilmente incrociando il cammino l’uno dell’altro.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.

Il film

locandina C'era una volta in Bhutan

C'era una volta in Bhutan

Drammatico - Bhutan 2023 - durata 107’

Titolo originale: The Monk and the Gun

Regia: Pawo Choyning Dorji

Con Harry Einhorn, Tandin Phubz, Tandin Sonam, Tandin Wangchuk, Pema Zangmo Sherpa, Choeying Jatsho

Al cinema: Uscita in Italia il 30/04/2024