Di recente il presidente americano Donald Trump, parlando ai poveri del suo paese, ha rispolverato, come farina del suo sacco, l’espressione “forgotten men”, coniata dal democratico Franklin Delano Roosevelt durante la sua prima presidenza (1933-1937). Era uno degli slogan che servirono a lanciare il New Deal, il nuovo patto progressista con il popolo americano, nella grande maggioranza rovinato dalla politica demente del dopoguerra fino al crac finanziario del 1929 (del tutto simile a quello del 2008). E Hollywood, schierata senza incertezze con Roosevelt, fece dei “dimenticati”, del conflitto fra poveri e ricchi, potere e rivolta, ordine e disordine, un tema centrale degli anni 30.

In questa età dell’oro del cinema, oltre che di drammi, i Poveri, portatori naturali di conflittualità, furono i soggetti di Commedia come portatori di moralità dal passo lieve e attraverso il piacere. Sotto il profilo ideologico il compito della Commedia era quello di riconciliare lo spettatore con la difficile realtà esterna, riaffermando la bontà dell’american way of life e fornendo modelli di comportamento; nonché di gratificarlo, a livello emotivo, nella sfera erotico-sentimentale.

Fra i grandi creatori della commedia sociale Gregory La Cava è quello che più tende all’anarchia, alla sregolatezza - anche nella forma - e in sottofondo alla nota caustica, amara o tragica. Si sente il suo desiderio di non stare al “patto” in modo aprioristico e di lanciare qualche buona sassata contro le regole e i valori dell’american dream; di rimescolare e ribaltare i ruoli sociali e amorosi mettendo tutto in discussione.

Di origine italiana come Frank Capra, La Cava ebbe una formazione molto diversa dai suoi colleghi. Non veniva dallo spettacolo ma dalla pittura e dal disegno, incluse strisce a fumetti e cartoon, e lavorò secondo metodi del tutto personali: cambiava le sceneggiature sul set, improvvisava situazioni e dialoghi contravvenendo gravemente alle regole dello studio system. Risultato, un cinema di grande tensione e ritmo, dove la reazione segue implacabilmente a ogni azione e si perde il confine fra comicità, gioco e violenza. E dove ricchezza e povertà sono uno stato transitorio. I Diseredati non possono che sperare in un futuro migliore, ma si direbbe che anche i Ricchi sappiano che la fortuna può cambiare, e, quando cambia, il tracollo genera una constatazione desolata, ma non molto di più.

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Una scena di L'impareggiabile Godfrey


C’è una sorta di abitudine all’andirivieni del denaro. La società americana è sempre stata in movimento, il crollo di Wall Street è cosa di ieri, e forse lo è anche l’acquisizione della fortuna. Incarna quest’idea il milionario Bullock, uno dei grandi personaggi di L’impareggiabile Godfrey (1936), considerato il capolavoro del regista (ma si deve sottolineare che La Cava non ha il posto che gli spetta nella Storia del cinema). Bullock non sembra possedere una vera memoria storica della ricchezza, a partire dal fisico: grasso, basso, il collo taurino, la faccia primaria e congestionata del formidabile attore che gli dà vita, Eugene Pallette, ci dicono senza bisogno di parole che quasi senz’altro si tratta di un Nuovo Ricco. Nella sua casa, una gabbia di matti, lavora e vive un Nuovo Povero, Godfrey, il quale, pescato in una discarica da un’adorabile bionda, Irene Bullock, e portato quale trofeo di una folle Caccia al Rifiuto fra Ricchissimi, si è dichiarato un “forgotten man” con voce emozionata ma sprezzante - tono che nella parossistica concitazione del gioco (degna di L’ispettore generale di Gogol’) non interessa nessuno.

Per osservare qualche reazione bisogna aspettare che l’uomo, assunto quale maggiordomo, entri più intimamente a contatto con la tribù dominatrice. In breve Godfrey diviene una sorta di catalizzatore delle nevrosi che agitano la famiglia Bullock, un portatore di equilibrio nel regno degli squilibri (è ricorrente nel cinema del regista la figura del riequilibratore, destinato alla fine a far scoprire il piacere e l’amore attraverso il passaggio obbligato del non asservimento alle convenzioni: succede in Voglio essere amata, 1935, e in La ragazza della quinta strada, 1939). Nel caos di casa Bullock l’adempimento di questa funzione di terapeuta ironico, paziente, generoso, è possibile a Godfrey in quanto egli riconosce il proprio passato: i comportamenti ridicoli, il narcisismo irresponsabile dei ricchi viziati sono stati anche i suoi. La saggezza raggiunta non lo salverà comunque dal tornado Irene, innamorata di lui dal primo istante, buffa, appassionata e scatenata conquistatrice (è l’impareggiabile Carole Lombard), e da un saettante matrimonio finale.

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Foto di scena di Le stranezze di Jane Palmer


Dell’andirivieni del denaro fa una vera opera d’arte l’eroina di Le stranezze di Jane Palmer (1942). Senza scrupoli come Irene, allegra e dispotica, Jane (Irene Dunne, esilarante) è prodiga fino alla rovina e diventa una Nuova Povera. Fingendo di credere che l’attraente giovanotto, uno psicanalista, messole alle costole dai costernati parenti, si presti senza compenso a farle da autista, Jane scopre nella sua terra d’origine in Arizona un inesistente filone d’oro, diventa una Finta Ricca e il mondo intorno a lei impazzisce riempiendosi di ogni genere di forsennati, vecchi cercatori, cowboy, indiani da film, cronisti, venditori, puttane - un anticipo del Big Carnival (in italiano L’asso nella manica) di Billy Wilder.

Quando poi si scopre un autentico giacimento di mercurio che la rende di nuovo una Vera Ricca, lei non ne vuol sapere. Nel suo destino di malata non c’è ricchezza più grande della terapia permanente, da succhiare giorno per giorno all’uomo che possiede l’equilibrio per statuto. In un terrorizzante finale comico, che esaspera quello di L’impareggiabile Godfrey e anticipa quello di Bella di giorno di Luis Buñuel, Jane procede alla definitiva presa di possesso del medico attonito, ridotto come un insetto nella tela del ragno.

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Foto di scena di Palscoscenico


La Cava non frequenta altri generi che quelli di base, la commedia e il dramma. È un regista di confine all’interno della commedia (sociale ma insieme sofisticata e screwball) e in un altro capolavoro, Palcoscenico (1937), che è commedia e dramma, mette in scena delle giovani aspiranti attrici che vivono in una disordinata pensione di New York. È un gruppo non di famiglia ma formato per affinità - un gruppo di disadattate, o almeno inadatte a una vita “normale”. Di nuovo si fronteggiano Ricchezza e Povertà in Terry (Katharine Hepburn), ricca sicura e viziata, e nella sua compagna di stanza, Jean (Ginger Rogers), che in dote ha solo la sua bellezza. Riusciranno ad avere un rapporto equilibrato anziché tempestoso solo quando ognuna saprà dare all’altra qualcosa di sé. Kay (Andrea Leeds), la terza ragazza, è il lato oscuro del caos e delle vitali e più o meno allegre nevrosi del gruppo: silenziosa, isolata, ossessionata, finisce suicida quando perde la parte importante cui aspirava.

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Foto di scena di Il piccolo porto


La Cava alterna le note tragiche e comiche con fluidità, e orchestra il film come una partitura - duetti, assoli, concertati, cori - con una ricchezza, una vivezza e una libertà che in seguito hanno fatto pensare al cinema di Robert Altman. Il senso di libertà veniva dall’improvvisazione e da quella libertà di sguardo che fece del regista un anticipatore in più direzioni. Al cinema del nostro neorealismo fa pensare il tono di verità del dramma Primrose Path (1940, in italiano Il Piccolo porto), storia di una famiglia di prostitute dalla vita miserabile dove il mestiere della nonna e della madre dovrebbe continuare con la bella figlia Ellie May. La ragazza destinata a vendersi nega il proprio corpo, si veste da maschio e riesce ad accettarsi solo con l’amore e dopo molte traversie. Per arrivare alla maturazione e liberazione il “sentiero di primule” del titolo si è rivelato un percorso spinoso. E la prospettiva di La Cava è tutt’altro che rassicurante: due fra i tabù più forti di Hollywood, la prostituzione e l’alcolismo, che per lo spirito dell’epoca erano incarnazioni del Male, in Piccolo porto sono semplici constatazioni della realtà.

Andrebbero citati molti altri film, anche quelli imperfetti. La Cava è in ogni caso una personalità forte, fuori schema, sempre indipendente: fin dalla scelta di non stare a contratto con nessuna major. Un autentico freelance.

Autore

Vieri Razzini

Nato a Firenze nel 1940, Vieri Razzini è stato un critico cinematografico, giornalista, produttore e autore televisivo. A lungo responsabile della programmazione cinematografica di Rai Tre e punto di riferimento per generazioni di cinefili e appassionati, nel 2000 ha fondato con il marito Cesare Petrillo Teodora Film, con cui ha distribuito numerosi titoli italiani e internazionali indipendenti. Attivo anche come traduttore, sceneggiatore e scrittore, ha pubblicato i romanzi Terapia mortale (Fratelli Fabbri Editori, 1972), Giro di voci (Feltrinelli, 1986), La ricchezza di Perdido (Edizioni E/O, 1993), Il dono dell'amante (Dalai editore, 2003). È morto a Roma il 7 luglio 2022.

FILMOGRAFIA ANARCHICA

locandina L'impareggiabile Godfrey

L'impareggiabile Godfrey

Commedia - USA 1936 - durata 95’

Titolo originale: My Man Godfrey

Regia: Gregory La Cava

Con William Powell, Carole Lombard, Alice Brady, Eugene Pallette

in streaming: su Classix

locandina Palcoscenico

Palcoscenico

Drammatico - USA 1937 - durata 92’

Titolo originale: Stage Door

Regia: Gregory La Cava

Con Katharine Hepburn, Ginger Rogers, Adolphe Menjou, Gail Patrick

in streaming: su Rai Play

locandina Le stranezze di Jane Palmer

Le stranezze di Jane Palmer

Commedia - USA 1942 - durata 81’

Titolo originale: The Lady in a Jam

Regia: Gregory La Cava

Con Irene Dunne, Patric Knowles, Ralph Bellamy, Eugene Pallette

locandina Il piccolo porto

Il piccolo porto

Drammatico - USA 1940 - durata 92’

Titolo originale: Primrose Path

Regia: Gregory La Cava

Con Ginger Rogers, Joel McCrea, Henry Travers