Non riesce proprio a uscirci, dalla sindrome-Nikita, Luc Besson. È più forte di lui. Un’ossessione. Quasi un tormento. Qualcuno diceva che i grandi registi fanno praticamente sempre lo stesso film. Marie Clément/Nikita è l’oggetto scopico stendhaliano di Besson, fin dal 1990, da quando cioè appare sugli schermi Nikita. A dirla tutta, da prima ancora, perché già Subway (1985) è totalmente aderente all’immaginario e alla poetica che avrebbero reso il personaggio interpretato da Anne Parillaud l’architrave di quarant’anni di cinema bessoniano. Per sfruttare una metafora cine-musicale banale: Nikita è il main theme di Besson, gli altri suoi film ne sono delle alternate take. Perfino Le grand bleu (1988). Fino a Lucy (2014) e Anna (2019), ancora due nomi di donna.
Fino a Dogman, che è la storia di Douglas (Caleb Landry Jones), cresciuto male e vissuto peggio, in handicap e povertà, tra un’adolescenza di botte e di umiliazioni e una maturità in cui sono i cani e la loro complicità la sola compagnia possibile. Poco importa che il protagonista sia un uomo: è ancora Marie/Nikita, è sempre Marie/Nikita. Come lei Douglas scende e risale le scale che conducono alla mortificazione; come lei impara da solo sfruttando una condizione non richiesta; come lei insegue un amore impossibile; come Marie/Nikita, infine, si ritrova schiacciato da sé stesso, incapace di uscire dalla sua corazza, dal suo “trucco”, tradito dalle sue generalità. La nuova Marie/Nikita di Luc Besson cambia il sesso naturale, ma per Besson e per Douglas, che trova lavoro in un locale di drag queen e canta nei panni di Edith Piaf, il gender non esiste. O quantomeno non è determinante.
Dogman è queer perché il suo uomo dei cani scivola via dal dato, dal sistema, dai buoni e dai cattivi, non si fa vedere se non in maschera, non si dà. Come l’ossigenato Fred di Subway, come il solitario Jacques di Le grand bleu etc. Che magnifica filmografia transgender, quella di Besson. Magnifica non perché fatta di capolavori (per me ce ne sono due), non perché tutta intoccabile (alcuni titoli sono difficili da digerire), bensì per la sua ostinata fede nel soggetto in quanto autore di sé e per sé. Autobiografismo insistito? Non c’è niente di male. Il bello è che non ci sono limiti di genere, non ci sono abiti imposti; non c’è norma. Queer, appunto. Oltre il sesso e i sessi, fino all’iper-sex (Lucy).
Allora Dogman non è la vicenda di un emarginato, di un rifiuto della società, di un figlio nato sotto una cattiva stella: Douglas è l’ennesima elaborazione in purezza di un’immagine votiva, che per Luc Besson è il singolo. Al di là del vestito indossato, magari per obbligo. Al di là dell’apparenza. Ecco perché quello che agli inizi veniva apostrofato con disprezzo come cinéma du look adesso si scopre che ha fatto storia, che ha anticipato il futuro, che ha creato un’estetica fondamentale da studiare. Alla fine l’hanno capito un po’ tutti, tranne forse certi (vecchissimi) critici, che con molta fatica hanno sdoganato registi come Beineix e Carax ma per i quali Besson è ancora uno del commercio e quindi senza vera identità. E intanto lui, Luc Besson, nel futuro c’è (già) arrivato.
Il film
Dogman
Drammatico - USA 2023 - durata 114’
Titolo originale: DogMan
Regia: Luc Besson
Con Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Marisa Berenson, James Payton, Christopher Denham, Michael Garza
Al cinema: Uscita in Italia il 12/10/2023
in TV: 17/12/2024 - Sky Cinema Suspense - Ore 23.00
in streaming: su Now TV Sky Go Apple TV Google Play Movies Rakuten TV Amazon Video Timvision
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