C’è una scena nel film The Whiskey Bandit, in onda su Rai 4 la sera del 30 agosto, che sembra contenere tutto: una ragazza scende alla metro, Attila la segue, le fa una battuta da film americano e quando il treno riparte, lui corre, arriva prima di lei alla stazione successiva. È un momento apparentemente secondario, ma racchiude lo spirito del film: il desiderio di fuggire e di rincorrere, di rubare tempo alla realtà. Il regista Nimród Antal sceglie una storia vera per raccontare qualcosa di più grande della biografia di un ladro: sceglie un uomo che, negli anni ’90 ungheresi, diventa specchio di un’epoca incerta e in cerca d’identità.


The Whiskey Bandit
non è solo il racconto delle imprese criminali di Attila Ambrus. È il racconto di come un uomo diventa personaggio, simbolo, leggenda, e di come una società finisca per riconoscersi nel volto contraddittorio di chi sfida le regole, ma senza distruggere. Antal costruisce il film come un gioco di specchi tra realtà e finzione, tra il presente dell’interrogatorio e il passato delle rapine, tra l’infanzia in Transilvania e il sogno (infranto) di una vita normale a Budapest. Nessun tono celebrativo, nessun giudizio morale: solo una messa in scena consapevole, dove azione e memoria si intrecciano senza mai cercare la redenzione.

Bence Szalay, Piroska Móga
The Whiskey Bandit (2017) Bence Szalay, Piroska Móga

Un uomo in fuga (da tutto)

Attila Ambrus nasce nella Romania di Ceaușescu e fugge ancora ragazzo in Ungheria, viaggiando sotto un treno merci. Già da qui si capisce che non è un personaggio costruito per piacere, ma qualcuno che ha imparato presto che il mondo non fa sconti. Il suo arrivo a Budapest non è trionfale: lavora come portiere in una squadra di hockey, ma è più un ripiego che una vocazione. Fa il custode, il becchino, il contrabbandiere, cerca una cittadinanza che non arriva, una dignità che nessuno gli riconosce.


Quello che Antal racconta è il lento accumulo di frustrazione, il passaggio da un’esistenza marginale all’idea di ribaltare le regole. La prima rapina nasce quasi per caso, ma il gesto si trasforma presto in un rituale. Attila beve prima di entrare in banca, non per coraggio ma per quietare i nervi. Lascia fiori, non spara mai, manda vino alla polizia. Le sue imprese cominciano a riempire i giornali, e la sua figura si scolpisce nell’immaginario collettivo.


Il film di Rai 4 The Whiskey Bandit lo mostra sempre un passo indietro rispetto a se stesso. È come se fosse il primo a inseguire l’icona che i media hanno creato. Non è mai davvero in controllo, ma nemmeno completamente vittima degli eventi. È il ladro che cerca di essere qualcos’altro: cittadino, uomo amato, protagonista della sua stessa vita.


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Kata, la legge e gli altri fantasmi

Intorno al protagonista nel film di Rai 4 The Whiskey Bandit si muovono figure che più che comprimari sembrano riflessi delle sue ossessioni. Kata, la fidanzata, è l’unico legame affettivo vero, ma è anche la rappresentazione di un mondo che lo respinge: borghese, stabile, “normale”. Il padre di lei lo guarda come un fallito, e in un certo senso non sbaglia. Anche per questo, forse, Attila non riesce a restare: non sa vivere nella cornice della vita ordinaria.


Il detective, interpretato da Zoltán Schneider, è l’altro polo della narrazione. Non è il classico nemico, ma l’uomo che cerca di capire chi ha di fronte, di ricostruire una logica in una serie di eventi che sembrano sfidare ogni razionalità. I loro dialoghi non sono scontri, ma indagini psicologiche: il poliziotto scava, Attila ricorda, il film alterna registri e prospettive. La cattura è certa fin dall’inizio, ma quello che conta è il come, non il cosa.

Bence Szalay
The Whiskey Bandit (2017) Bence Szalay

Il crimine come maschera (e specchio sociale)

L’Ungheria degli anni ’90 non è solo uno sfondo. È parte integrante della narrazione. Il crollo del comunismo, l’arrivo del capitalismo, la confusione tra libertà e disordine: tutto questo entra nelle scelte di Attila, che agisce in un mondo senza certezze. Le sue rapine non hanno scopi politici, ma finiscono per assumere un valore simbolico. Non ruba ai ricchi per dare ai poveri, ma ogni colpo è visto dalla gente come un affronto al potere, come un riscatto collettivo. Più che un Robin Hood, Attila è un’anomalia: non giustifica le sue azioni, ma nemmeno le nasconde. E proprio in questo, forse, si avvicina alla figura dell’anti-eroe.


Il film di Rai 4 The Whiskey Bandit non semplifica. Mostra le contraddizioni: la simpatia popolare che convive con l’egoismo, l’adrenalina che copre il vuoto esistenziale. C’è chi lo applaude, e chi lo insegue. Chi lo ammira, e chi lo teme. Ma il punto non è stabilire se sia giusto o sbagliato, quanto osservare cosa accade quando un uomo qualunque si trova al centro di una narrazione che non controlla più.

Una storia vera che sembra un film (e viceversa)

La forza del film di Rai 4 The Whiskey Bandit non sta tanto nella fedeltà biografica quanto nella capacità di rendere cinematografica una storia che, in fondo, era già finzione prima di finire su pellicola. L’uso dei travestimenti, i fiori alle cassiere, le bottiglie inviate alla polizia: Attila costruisce il proprio mito in diretta, e Antal si limita a seguirne le tracce. Ma non lo fa con distacco: alterna registri, accelera e rallenta, gioca con l’azione senza perdere mai di vista il cuore umano della vicenda.


La narrazione procede su tre livelli: l’infanzia in Transilvania, gli anni delle rapine, l’interrogatorio dopo la cattura. Questo montaggio a incastro permette di evitare la linearità e di far emergere, per contrasto, la complessità del protagonista. Non c’è un climax classico, ma una tensione continua tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che potrebbe essere.


Alla fine, resta la domanda: perché Attila Ambrus è diventato una leggenda? Forse perché in un tempo di cambiamento e incertezza, ha incarnato un’idea di libertà, anche se distorta. Forse perché, in un paese in transizione, vedere qualcuno beffare le istituzioni senza usare violenza sembrava una forma di rivincita. O forse solo perché la realtà, a volte, ha bisogno di personaggi fuori dalle righe per riconoscersi.


The Whiskey Bandit
non cerca di riabilitare un ladro, né di demonizzarlo. Racconta, e basta. Ma nel farlo, illumina un’intera fase storica, una geografia dell’anima europea in bilico tra passato e futuro. Attila Ambrus è esistito davvero, ha fatto tutto quello che si vede nel film e altro ancora. Ma The Whiskey Bandit non è solo la sua storia. È la storia di un’epoca che ancora oggi, forse, non ha del tutto capito cosa volesse diventare.

Autore

Redazione

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Filmografia

locandina The Whiskey Bandit

The Whiskey Bandit

Biografico - Ungheria 2017 - durata 129’

Titolo originale: A Viszkis

Regia: Nimród Antal

Con Bence Szalay, Zoltán Schneider, Piroska Móga, Viktor Klem, Attila Beko, Imre Csuja