Lady Bloodfight, il film in onda su Rai 4 la sera del 2 maggio, è un curioso ibrido: parte omaggio agli action al maschile, parte aggiornamento di un canone reso immortale da Senza esclusione di colpi di Jean-Claude Van Damme. Diretto da Chris Nahon, il film porta sul ring una serie di guerriere pronte a combattere non solo per la gloria, ma anche per la propria identità. E nel farlo, riesce a dare forma a un’opera sorprendentemente sincera nella sua semplicità.

Il classico che funziona
La storia del film di Rai 4 Lady Bloodfight poggia con onestà su archetipi ben rodati. Jane Jones (Amy Johnston), cameriera americana dal passato travagliato e dal pugno facile, si imbarca in un viaggio a Hong Kong per cercare di risolvere il mistero della scomparsa del padre, scomparso anni prima durante il famigerato Kumite: un torneo clandestino di arti marziali. Qui viene scelta come pupilla dalla maestra Shu (Muriel Hofmann), mentre la rivale Wai (Kathy Wu) istruisce la ribelle Ling (Jenny Wu).
Le due allieve dovranno affrontarsi, dopo un percorso fatto di combattimenti spietati, crescita personale e le inevitabili ferite, fisiche e interiori. Sullo sfondo, un sottobosco di avidità, corruzione e vendetta che minaccia di consumare chiunque non sia abbastanza forte da mantenere il proprio cuore saldo tanto quanto i propri pugni.
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Volti scolpiti a suon di colpi
Jane Jones è il cuore pulsante del film di Rai 4 Lady Bloodfight. Amy Johnston, stuntwoman di fama, riesce a dare corpo a un personaggio tanto determinato quanto vulnerabile. La sua forza non è solo fisica: è l’incrollabile ostinazione di chi continua a rialzarsi dopo ogni caduta. È fragile, sanguina, crolla e prega davanti allo specchio, ma alla fine si rialza sempre. Una rappresentazione rara e credibile di una guerriera emotivamente complessa.
Shu e Wai, le due maestre, incarnano l’eterna opposizione tra spiritualità e sete di vendetta. Shu, tutta disciplina e compassione, guida Jane attraverso il Wudang, mentre Wai, austera e tagliente, forgia Ling come un’arma attraverso la tradizione Shaolin. Non sono semplici archetipi di “bene” e “male”, ma donne ferite dalla vita, incapaci di lasciarsi il passato alle spalle.
Ling, gotica e ribelle, è forse il personaggio meno compiuto: la sua evoluzione da ladruncola arrogante a degna rivale di Jane resta più accennata che realmente approfondita.
Tra i comprimari spicca Svietta (Mayling Ng), il “mostro finale” della pellicola: un concentrato di muscoli, cicatrici e ferocia, capace di trasformare ogni scena in cui compare in un piccolo evento.

Oltre il sangue
Sotto la superficie dei combattimenti, il film di Rai 4 Lady Bloodfight racconta una storia di perdita, redenzione e identità. Il viaggio di Jane è prima di tutto emotivo: parte alla ricerca del padre scomparso, ma finisce per confrontarsi con sé stessa e con il dolore che si porta dentro. Non basta il talento nei combattimenti a farla emergere: serve la capacità di rialzarsi, di trovare una forza personale che non dipenda più dagli altri.
Il film costruisce anche un interessante contrasto tra due visioni della vita e dell’arte marziale. Shu e Wai, le due maestre, rappresentano filosofie opposte: da una parte l’onore, la compassione, la ricerca dell’armonia; dall’altra la rabbia, la vendetta e la volontà di vincere a ogni costo. Attraverso il loro scontro, il film riflette su cosa significhi davvero essere forti: non vincere abbattendo tutto ciò che ci circonda, ma restare fedeli a chi siamo, anche nel mezzo della violenza.
C’è poi il tema dell’identità e del senso di appartenenza. Jane è una straniera che entra in un mondo che non è il suo. Ma Lady Bloodfight non la trasforma mai in una caricatura o in una salvatrice esterna: il suo percorso è segnato dal rispetto, dall’umiltà, dalla voglia sincera di guadagnarsi un posto senza pretendere di dominare.
Alla fine, l’opera trova nella sorellanza il suo messaggio più autentico: anche in un torneo dove la regola è “vincere o morire”, emerge una forma di solidarietà, una comprensione profonda tra donne che lottano non solo contro le avversarie, ma contro un sistema più grande che le vorrebbe ridurre a spettatrici. È questa tensione tra lotta e umanità che rende il film più vivo della maggior parte dei suoi omologhi maschili.
Punti deboli e forza visiva
Il film di Rai 4 Lady Bloodfight non è esente da difetti. Il montaggio delle scene di lotta, troppo frenetico, penalizza spesso la chiarezza e l’impatto delle coreografie curate dal veterano Xin Xin Xiong. Alcune sottotrame (come l’accenno al potere sovrannaturale di Shu) restano poco sviluppate, lasciando sensazioni di incompiutezza.
Anche la scrittura zoppica: dialoghi spesso meccanici e un sentimentalismo esagerato nella storyline paterna rischiano di frenare la tensione accumulata.
Tuttavia, Lady Bloodfight si salva e, anzi, convince, grazie alla sua energia genuina: un B-movie consapevole della sua natura, che punta tutto sull’autenticità fisica dei suoi interpreti e sulla voglia di far brillare, finalmente, le donne nel genere più macho di tutti.
Lo possiamo leggere come un inno sincero alla resilienza, al coraggio e alla capacità delle donne di conquistare, a suon di pugni e cuore, un posto su un palcoscenico troppo a lungo dominato dagli uomini.
Filmografia
Lady Bloodfight
Azione - Hong Kong 2015 - durata 100’
Titolo originale: Lady Bloodfight
Regia: Chris Nahon
Con Amy Johnston, Jenny Wu, Muriel Hofmann, Kathy Wu, Sharon Zhang
in TV: 22/05/2025 - Rai 4 - Ore 14.10
in streaming: su Rai Play
Senza esclusione di colpi
Azione - USA 1989 - durata 93’
Titolo originale: Bloodsport
Regia: Newt Arnold
Con Jean-Claude Van Damme, Donald Gibb, Leah Ayres, Norman Burton
in streaming: su Apple TV Amazon Video
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