Sweet River, film australiano proposto da Rai 4 la sera del 27 aprile, è un’opera cupa e irrequieta che sceglie il sussurro alla minaccia, il peso del lutto alla suspense convenzionale. Diretto da Justin McMillan, al suo debutto nella narrativa dopo l’esperienza documentaristica (Storm Surfers 3D), il film esplora i meandri del dolore materno, della memoria collettiva e di una comunità che sopravvive sopra una terra maledetta.

Dove i figli non riposano in pace
Hanna Montague (una intensa Lisa Kay), al centro della storia del film di Rai 4 Sweet River, arriva nella cittadina rurale di Billins alla ricerca del corpo mai ritrovato del figlio Joey. Si presume che il bambino sia stato vittima di un serial killer locale, ormai morto. Ma la speranza, come i fantasmi nei campi di canna da zucchero che circondano la zona, si ostina a non svanire. Billins è un luogo dove la tragedia si è insediata e ha messo radici: oltre agli omicidi, una strage recente ha visto annegare diversi bambini in un incidente con uno scuolabus.
Hanna affitta una casa isolata, accolta con ambiguità da John e Elenore Drake (Martin Sacks e Genevieve Lemon), una coppia afflitta da lutti propri. Mentre si addentra nei segreti di Billins, Hanna scopre che il dolore ha preso una forma fisica: i bambini morti infestano ancora i campi, intrappolati in una sorta di limbo, e la comunità intera vive in un silenzioso patto di omertà e superstizione, fatta di luci rosse, sguardi bassi e ricordi negati.
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Il lutto come collante e carcere
La Hanna del film di Rai 4 Sweet River è un personaggio consumato, non solo dal dolore, ma anche da una dipendenza mai del tutto superata. Il suo viaggio non è solo investigativo: è personale, intimo, disperato. Kay la interpreta con vulnerabilità e forza trattenuta, evitando i cliché della madre-eroina per offrire invece un ritratto autentico di una donna frantumata.
John Drake è l’anello di congiunzione tra il passato che Billins vuole dimenticare e quello che Hanna cerca. La sua ambivalenza - generosità e segreti - ne fa il personaggio più umano. Elenore, invece, è la personificazione della negazione: ogni gesto è un modo per non affrontare la realtà della figlia perduta. I loro silenzi sono più rivelatori delle parole.

Il vero orrore è non sapere
Il film di Rai 4 Sweet River è più un thriller psicologico che un horror puro. La paura non nasce da ciò che si vede, ma da ciò che non si riesce a comprendere: un figlio scomparso senza corpo, una comunità che tace, bambini morti che camminano nei campi come se volessero essere visti, ma non aiutati.
Il film esplora il concetto del lutto come sospensione: quando non c’è corpo, non c’è chiusura; e senza chiusura, non c’è guarigione. Le apparizioni soprannaturali non sono mostri da combattere, ma sintomi di una malattia collettiva: l’incapacità di elaborare il dolore. E questo vale tanto per Hanna quanto per Billins.
Il paesaggio, reso magistralmente da Tim Tregoning, è un’estensione dello stato emotivo dei personaggi: campi infiniti, grigi, lattiginosi, dove la bellezza si mescola all’angoscia. Il colore rosso, ricorrente nelle luci e nei segnali, diventa un simbolo di protezione, ma anche di allarme: il mondo dei vivi e quello dei morti si stanno toccando.
Il finale spiegato
Nel terzo atto, il film di Rai 4 Sweet River rivela la sua verità più amara: il killer, Lenny Simpkins, era il figlio di John. Il dettaglio, tenuto nascosto per anni, dà un significato del tutto nuovo alla gentilezza di John verso Hanna, una forma di espiazione silenziosa.
Quando Hanna scopre la tomba del figlio grazie al fantasma di Violet, la figlia adottiva dei Drake, comprende che non ci sarà pace finché quei campi non saranno purificati. Il climax arriva quando, dopo la morte di John per mano del fantasma vendicativo Max, Hanna prende un lanciafiamme e dà fuoco ai campi. Non per vendetta, ma per liberare le anime intrappolate.
È un atto radicale, ma necessario. Il fuoco diventa simbolo di rinascita. I bambini finalmente spariscono. Le luci rosse si spengono. Hanna se ne va, portando con sé non la pace, ma la possibilità di iniziare a costruirla.
Sweet River è un’opera imperfetta ma densa, che cerca (e a tratti trova) un equilibrio difficile tra ghost story, dramma psicologico e noir rurale. Non tutti gli elementi narrativi tornano - alcune sottotrame restano sospese, i simboli (come le spirali di sassi) inutilmente enigmatici - ma il film riesce a restare impresso. Non per le sue scene horror, ma per il modo in cui racconta la perdita.
In un’epoca dove l’horror è spesso ridotto a schock visivo e nonsense narrativo, McMillan firma un film che ha il coraggio di rallentare, di farsi sentire addosso, come il respiro pesante del dolore. Sweet River non spiega tutto, ma forse perché alcune cose non possono essere spiegate. Possono solo essere vissute.
Filmografia
Sweet River
Horror - Australia 2020 - durata 102’
Titolo originale: Sweet River
Regia: Justin McMillan
Con Lisa Kay, Jack Ellis, Eddie Baroo, Chris Haywood, Charlotte Stent, Martin Sacks
in streaming: su Rai Play
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