Una ragazza scompare, una comunità si paralizza e l’Italia si stringe davanti a uno schermo ma quando Marco Tullio Giordana porta la storia nel film Yara, in onda su Canale 5 il 23 giugno, la scomparsa di Yara Gambirasio e la sua tragica morte diventano qualcos’altro: una narrazione filtrata, concentrata su chi indaga più che su chi subisce.
Sembra un paradosso, e forse lo è. Perché Yara è il titolo del film, ma Yara, in questa storia, è presenza simbolica, non protagonista. Il vero centro gravitazionale della pellicola è Letizia Ruggeri, pubblico ministero, investigatrice, madre e donna. E il film, pur sventolando il vessillo del “true crime”, sembra volersi smarcare da ogni complessità che la realtà di questo caso ha offerto e imposto.

La linea retta di un caso intricato
Il film di Canale 5 Yara si apre con la scoperta del corpo della tredicenne bergamasca, scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata tre mesi dopo. Ma non siamo di fronte a un mistery. Non c’è il “chi l’ha fatto?” né l’ambiguità morale di un thriller. La narrazione segue con freddo rigore la ricostruzione processuale ufficiale: il ritrovamento, le indagini, l’identificazione dell’assassino tramite DNA, la condanna.
L’anima investigativa della pellicola è Letizia Ruggeri, interpretata con sobrietà da Isabella Ragonese. Il racconto si snoda attraverso i suoi sforzi, le sue frustrazioni, le sue scelte. Yara appare solo nei flashback, nei frammenti del suo diario, nella voce fuori campo. Non ha spazio per mostrarsi, per farsi conoscere. È una figura evocata, mai vissuta pienamente.
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Ruoli più che persone
Nel film di Canale 5 Yara, Letizia Ruggeri domina la scena. È tratteggiata come una donna determinata, professionista inflessibile, madre sola. Ma il film non approfondisce mai la sua ambivalenza. Non entra nelle sue contraddizioni, nelle sue emozioni reali. La vediamo piangere, tirare pugni al sacco, rispondere ai superiori. Ma tutto resta sulla superficie. Il ritratto che ne emerge è più funzionale che umano.
I genitori di Yara, interpretati con compostezza da Mario Pirrello e Sandra Toffolatti, sono tratteggiati con rispetto, ma la loro dimensione emotiva rimane contenuta. Funzionano quasi da cornice. Non ci sono scene di rottura, né esplosioni di dolore o rabbia. Solo silenzi e dignità.
Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio, arriva tardi nella narrazione. Il suo personaggio, interpretato da Roberto Zibetti, è abbozzato, non esplorato. Non c’è un confronto reale tra lui e l’accusa. Non c’è dibattito, non c’è ombra. Solo un verdetto.

Giustizia, ma senza contraddittorio
Il film di Canale 5 Yara si propone come cronaca civile. E in parte lo è. Racconta un’indagine lunga, costosa, mai vista prima in Italia per dimensioni: oltre 18.000 campioni di DNA analizzati, fino alla scoperta di “Ignoto 1”, che condurrà a Bossetti. Ma nel suo voler essere “sobrio”, Yara evita ogni riflessione critica.
Non c’è spazio per i dubbi, che nella realtà esistono e sono ancora oggetto di battaglia legale. Non c’è confronto tra verità giudiziaria e verità storica. Il DNA è trattato come prova assoluta, ma il film non accenna minimamente alle controversie su quei reperti, alla richiesta di ulteriori esami mai concessi alla difesa.
Giordana sembra temere la complessità. Sceglie la via della sintesi, della linearità. Si tiene lontano dalle implicazioni più oscure del caso: l’errore iniziale con il fermo del marocchino Mohamed Fikri, la gestione mediatica del caso, la pressione dell’opinione pubblica, l’assenza di un movente chiaro, la mancanza dell’arma del delitto. Tutto questo è o sfiorato o rimosso.
Uno stile trattenuto, forse troppo
Da Giordana, regista de I cento passi e Romanzo di una strage, ci si sarebbe aspettati una visione. Qui invece c’è solo rappresentazione. Il film di Canale 5 Yara non ha guizzi. Lo stile è più televisivo che cinematografico. Il ritmo è lento, il montaggio piatto, le scene di tensione non lasciano il segno. Le didascalie finali chiudono il cerchio come un verbale di polizia.
La regia si affida agli attori, ma gli attori si muovono in uno spazio emotivo ridotto. Tutti parlano poco, si muovono poco, sentono poco. L’impressione è che il timore reverenziale verso il fatto di cronaca abbia bloccato ogni slancio creativo. In nome del rispetto, si rinuncia al racconto. Ma nel cinema, come nel giornalismo, rispetto non è silenzio: è rigore nel cercare la verità, anche quando fa male.
Yara è un film che ha avuto coraggio nella scelta, ma non nell’esecuzione. Affronta un caso enorme, delicato, ancora irrisolto in molti suoi aspetti. Ma lo fa rinunciando a interrogarsi, a scavare, a dubitare. Resta fedele alla narrazione processuale, ma non cerca la complessità. Non ci fa conoscere Yara, né Bossetti, né davvero Ruggeri. E così, alla fine, non conosciamo davvero nulla.
Il risultato è un film didattico, utile forse per chi il caso non lo conosceva, ma privo di una vera anima cinematografica. Un compito ben fatto, ma senza emozione. Un racconto che si ferma alla superficie di una tragedia che meritava di più.
Perché raccontare un crimine è facile. Raccontare la verità, tutta la verità, no.
Filmografia
Yara
Drammatico - Italia 2021 - durata 91’
Regia: Marco Tullio Giordana
Con Chiara Bono, Roberto Zibetti, Isabella Ragonese, Sandra Toffolatti, Mario Pirrello
Al cinema: Uscita in Italia il 18/10/2021
in streaming: su Netflix Netflix Basic Ads
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