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Trama

Presentato in concorso a Cannes 2025, il film Alpha racconta la storia di Alpha, un’adolescente inquieta che vive da sola con la madre. Quando un giorno torna a casa con un tatuaggio sul braccio, un gesto all’apparenza banale scatena una reazione a catena che mette a nudo le fratture profonde del loro legame familiare. Ambientato tra gli anni ’80 e ’90, il film Alpha introduce una misteriosa epidemia che richiama l’ombra del virus dell’HIV, evocando fortemente l’universo sensoriale e simbolico di Rosso sangue di Leos Carax.

Dopo la Palma d’Oro per Titane nel 2021, Julia Ducournau torna in concorso a Cannes con un’opera più intima, ma sempre fedele ai temi che animano il suo cinema: il corpo, la trasformazione, l'identità. Nel film Alpha, l’orrore si fa più sottile, ma ugualmente disturbante: si annida nei non detti familiari, nel dolore trasmesso da una generazione all’altra, nella paura che attraversa il corpo e la mente di una ragazza che si affaccia alla vita.

«È un film che parla della trasmissione della paura, quella che io stessa ho percepito da bambina negli anni in cui il virus dell’HIV faceva irruzione nel mondo», ha dichiarato Ducournau. Alpha si interroga così sul peso simbolico del corpo adolescenziale e sul ruolo della società nel definire cosa è pericoloso, cosa è puro, cosa è ammissibile.

Nel ruolo della protagonista, la giovane Mélissa Boros dà corpo a una figura intensa e vulnerabile, che si inscrive perfettamente nella galleria di corpi mutanti femminili che popolano il cinema di Ducournau: dopo Garance Marillier (Grave) e Agathe Rousselle (Titane), è ora il turno di Alpha, emblema di una femminilità in formazione, ancora informe e già bruciante.

Accanto a lei, Golshifteh Farahani interpreta con grande sensibilità una madre sola e spaventata, incapace di contenere le scosse sismiche dell’adolescenza. A completare il nucleo drammatico del film, Tahar Rahim nel ruolo di Amin, lo zio di Alpha, malato e fragile, fisicamente trasformato per la parte: un corpo consumato che si contrappone a quello iper-mascolinizzato di Vincent Lindon in Titane. La sua presenza, dolorosa e amorevole, diventa il centro morale del racconto.

Con il film Alpha, Julia Ducournau continua il suo percorso unico nel panorama cinematografico contemporaneo: un cinema che scava nel corpo per raccontare l’anima, che sonda il trauma senza mai rinunciare alla potenza visiva. Un racconto di formazione, sì, ma anche un’opera sulla trasmissione generazionale di ciò che resta taciuto: la vergogna, la malattia, la morte… e il desiderio ostinato di continuare a vivere.

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