Nel panorama sempre più vasto delle produzioni internazionali su Netflix, il film Mango si distingue non tanto per il genere (una storia di incontro e trasformazione personale in un contesto esotico) quanto per il modo in cui affronta le fratture, i legami e le identità in crisi.
Diretto da Mehdi Avaz e scritto da Milad Schwartz Avaz, il film danese ma ambientato a Málaga incrocia temi universali attraverso il confronto tra una donna che costruisce alberghi e un uomo che coltiva mango, tracciando una linea sottile tra progresso e memoria, famiglia e carriera, fuga e radicamento.
Disponibile dal 7 novembre.

Semi piantati dove meno te lo aspetti
Nel film Mango, Lærke è una direttrice d’albergo in piena ascesa professionale. Quando le viene affidato l’incarico di sviluppare un nuovo resort di lusso in Spagna, accetta senza esitazioni: è la grande occasione che ha sempre aspettato. Il terreno ideale per la costruzione dell’hotel, però, è occupato da una piantagione di mango, proprietà di Alex, un ex avvocato danese trasferitosi a Malaga per lasciarsi alle spalle una tragedia personale. Alex non vuole vendere. Non solo per principio, ma perché quella terra rappresenta la sua unica ancora in un presente segnato dal dolore.
Lærke non è sola: porta con sé la figlia Agnes, adolescente abituata all’assenza emotiva della madre. La ragazza spera in una vacanza, o almeno in un po’ di tempo insieme. Le cose vanno diversamente. Mentre Lærke si immerge nel lavoro, Agnes esplora la piantagione e si avvicina a un mondo più semplice ma autentico. Intanto, tra Lærke e Alex si crea un legame inaspettato. Un’intesa che mette in discussione tutto: il progetto alberghiero, il ruolo genitoriale di Lærke, e il muro che Alex ha costruito tra sé e il passato.
Ferite aperte e frutti maturi
Lærke è il prototipo della professionista instancabile, una donna che ha fatto della determinazione il proprio scudo. Ma sotto la corazza c’è una madre in difficoltà, incapace di bilanciare affetti e ambizioni. Il viaggio a Malaga diventa per lei un’occasione di confronto con una realtà più lenta, che le impone di ascoltare e osservare, prima di agire. Lærke, con il volto di Josephine Park, è una donna che ha sempre rincorso il successo, ma che inizia a chiedersi cosa significhi, davvero, avere successo nella vita.
Alex, interpretato da Dar Salim, è un uomo in esilio da sé stesso. L’abbandono della carriera legale e il trasferimento in Spagna sono solo una fuga parziale: il dolore è ancora lì, radicato nel terreno della piantagione tanto quanto gli alberi di mango. L’arrivo di Lærke mette in crisi il suo equilibrio, ma lo costringe anche a confrontarsi con quello che ha lasciato sospeso.
Agnes, impersonata da Josephine Chavarria Højbjerg, è forse la vera sorpresa narrativa del film Netflix Mango. La sua presenza non è accessoria, ma centrale: è attraverso il suo sguardo che lo spettatore coglie le contraddizioni del mondo adulto. Adolescente in bilico tra rabbia e desiderio di vicinanza, Agnes trova nella piantagione un raro spazio di libertà. Il suo percorso riflette il bisogno di radici, di tempo condiviso, di presenza.

Il mango come metafora
Il titolo Mango non è solo una scelta esotica: è il fulcro simbolico di tutto il film Netflix. La pianta del mango è lenta a crescere, ha bisogno di calore, di attenzione. È un frutto che non si può forzare. Così sono anche i sentimenti, i rapporti umani, le seconde possibilità. La coltivazione rappresenta ciò che è duraturo, paziente, in contrasto con la logica dell’efficienza e della produttività che guida il mondo di Lærke.
Il lungometraggio riflette sul rapporto tra individuo e terra, tra memoria e costruzione del futuro. L’idea di “progresso” viene messa in discussione: costruire un hotel in una piantagione significa cancellare una storia per scriverne un’altra più redditizia, ma forse più vuota. Mango mette a confronto due visioni del mondo: una che misura il valore in base agli obiettivi raggiunti, l’altra che lo misura in base a ciò che si riesce a custodire.
Il tema della famiglia attraversa l’opera in tutte le sue forme: quella spezzata di Alex, quella precaria di Lærke e Agnes, e quella possibile che si intravede alla fine. Il film non propone soluzioni nette, ma mostra come il dolore possa trasformarsi, con il tempo e la volontà, in qualcosa di vivo.
Tra silenzi, sole e seconde occasioni
Mango non urla. Parla a bassa voce, e proprio per questo lascia il segno. È un film che costruisce il suo impatto sulla forza dei non detti, sui gesti piccoli, sulle pause. Racconta di come ci si possa ritrovare anche lontano da casa, e di come certi luoghi, come certe persone, ci costringano a fermarci e a guardarci dentro.
Malaga, con la sua luce calda e il ritmo più lento, diventa lo sfondo ideale per una storia che non parla solo d’amore, ma di scelte che colpiscono. In un mondo che corre, Mango invita a restare. E forse, a mettere finalmente radici.
Filmografia
Mango
Sentimentale - Danimarca 2025 - durata 0’
Titolo originale: Mango
Regia: Mehdi Avaz
Con Josephine Park, Dar Salim, Josephine Højbjerg, Sara Jiménez, Paprika Steen, Anders W. Berthelsen


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