C’è un momento preciso in Quattro buone giornate, il film su Iris la sera del 29 agosto, in cui si capisce che la storia non ruoterà tanto intorno alla disintossicazione, ma a ciò che la precede e la segue: il dubbio. Dubbio di chi guarda, di chi ama, di chi spera per l’ennesima volta.
Diretto da Rodrigo García e scritto insieme al giornalista premio Pulitzer Eli Saslow, il film nasce da un articolo-verità pubblicato sul Washington Post, ma prende forma come dramma intimo, dove la cronaca cede il passo alla relazione.
La vicenda è semplice solo in apparenza: Molly, giovane tossicodipendente con alle spalle dieci anni di eroina, torna a casa dalla madre Deb per provare, ancora una volta, a ripulirsi. Per iniziare un trattamento salvavita, le viene chiesto di restare sobria per quattro giorni. Quattro giorni in cui il passato torna a farsi sentire con una forza devastante. Quattro giorni in cui una madre e una figlia devono decidere se fidarsi, o arrendersi definitivamente.
L’ingresso in scena di un relitto
Quando Molly ricompare alla porta di Deb, non è solo l’inizio del film di Iris Quattro buone giornate: è la fine di tante cose già avvenute. È la sintesi di anni di promesse rotte, furti, ricadute, bugie. Il corpo devastato, i denti mancanti, lo sguardo spento: tutto in lei racconta un inferno da cui non sembra esserci ritorno. Ma è anche il momento in cui si fa intravedere un nuovo spiraglio.
A condurre lo spettatore dentro questa tensione costante tra repulsione e affetto è Glenn Close nei panni di Deb, madre dura, stanca, eppure non completamente arresa. Deb incarna un paradosso: sa cosa deve fare per proteggere sé stessa, ma non riesce a farlo fino in fondo. Il suo volto è segnato da una fatica che è anche colpa, e ogni decisione che prende sembra poter essere quella sbagliata.
Mila Kunis affronta il ruolo di Molly senza filtri, sottraendo glamour e lasciando il personaggio nudo, fisicamente ed emotivamente. Molly è a un punto in cui non può più ingannare nessuno, eppure ogni sua parola suona come potenzialmente falsa. È questo il suo dramma più sottile: non si sa mai quanto credere a quello che dice. Lei stessa, in fondo, non sa più quanto credere a sé. Il film non la santifica né la condanna. La mostra, piuttosto, come una persona incastrata: nel proprio corpo, nei propri fallimenti, nel giudizio altrui. Ma anche nel disperato bisogno di essere vista non solo come una tossicodipendente ma come figlia.
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Un amore logorato che si ostina a restare tale
La relazione tra Deb e Molly è il cuore pulsante del film di Iris Quattro buone giornate. Rodrigo García sceglie di concentrarsi su questi quattro giorni come un microcosmo in cui esplodono dinamiche decennali. C’è tutto: il controllo, il senso di colpa, la speranza mescolata al rancore, l’amore trasformato in dipendenza emotiva.
La loro convivenza forzata, scandita da piccoli successi e ricadute, diventa un laboratorio emotivo, in cui le due si trovano costrette a guardarsi davvero, al di là dei ruoli predefiniti. La madre come salvezza, la figlia come problema: lo schema si incrina, perché ognuna porta anche la propria fragilità. E in questo equilibrio precario, il film trova la sua forza maggiore.
Oltre l’eroina
Il film di Iris Quattro buone giornate parla di droga, sì. Ma più ancora parla di legami, e dei limiti dell’amore. L’eroina è il catalizzatore, non il punto d’arrivo. Il vero nodo è: quanto può sopportare una madre? Quando l’amore smette di essere cura e diventa complicità distruttiva? Dove si traccia il confine tra aiutare e alimentare?
García e Saslow affrontano la questione senza moralismi e senza offrire soluzioni. Mostrano come la dipendenza non sia mai solo individuale, ma collettiva, relazionale. E come, talvolta, non ci siano scelte giuste, ma solo conseguenze inevitabili. È qui che il film si avvicina al reale, anche nei suoi limiti narrativi: evita l’eroismo, non chiude con certezze, lascia un margine di ambiguità.
La vicenda di Molly e Deb, pur nella sua intimità, si inserisce in un contesto molto più ampio: l’epidemia di oppiacei che ha devastato intere comunità negli Stati Uniti. Il film non entra nel dettaglio sociopolitico del problema, ma lo lascia intravedere come un rumore di fondo costante. Le cliniche, i medici, le difficoltà economiche, l’isolamento sociale: tutto concorre a rendere la dipendenza non solo una malattia, ma una condizione sistemica. Ed è in questa cornice che il racconto prende peso. Non come storia esemplare, ma come storia rappresentativa di molte altre.
Un dolore che non si risolve in quattro giorni
Quattro buone giornate non è un film perfetto. A tratti indulge in un melodramma eccessivo, e non sempre riesce a tenere l’equilibrio tra emozione e misura. Ma il suo nucleo resta integro: quello sguardo affilato e onesto sul legame madre-figlia, messo alla prova da una crisi che si rinnova ogni giorno.
Rodrigo García, partendo da un fatto reale, costruisce un racconto che interroga chi guarda senza pretendere risposte. Forse è proprio questo il valore del film: non offre la catarsi, ma il dubbio. Non cerca l’eccezionalità, ma la quotidianità di un dramma che si consuma in silenzio, spesso fuori campo. Quattro giorni possono sembrare pochi. E infatti lo sono.
Filmografia
Quattro buone giornate
Drammatico - Usa/Canada 2020 - durata 100’
Titolo originale: Four Good Days
Regia: Rodrigo Garcia
Con Mila Kunis, Glenn Close, Stephen Root, Joshua Leonard, Chad Lindberg, Rebecca Field
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Rakuten TV Amazon Video
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