Nel film Impossibile da uccidere, su Rai Premium la sera del 13 novembre, Nina Grosse costruisce un racconto stratificato attorno a una donna che ha fatto dell’immagine pubblica la sua armatura, il suo campo di battaglia, e forse anche la sua prigione.
Il personaggio di Simone Mankus, interpretato da Iris Berben, in un evidente gioco di rimandi tra attrice e ruolo, è al centro di un dramma a tinte thriller che mescola memoria culturale, ossessione identitaria e il sempreverde culto della giovinezza. Ma questo non è un film che vuole piacere facilmente. È piuttosto un ritratto dissonante, segnato da crepe e tensioni, dove il passato e il presente collidono sul piano privato e sociale. Più che un thriller, un confronto silenzioso con ciò che resta, quando la luce dei riflettori non scalda più.

Star a pezzi: la caduta di Simone Mankus
Simone Mankus nel film di Rai Premium Impossibile da uccidere non è soltanto una diva dimenticata, è un’icona smarrita in un mondo che ha cambiato le regole mentre lei giocava ancora con quelle vecchie. Dopo una carriera luminosa nel cinema e nella musica, oggi vive in una lussuosa villa, protetta solo dai ricordi e dai rimasugli della sua notorietà.
Il figlio Jonas (Barnaby Metschurat) insiste perché partecipi a un reality, convinto che i riflettori, in qualunque forma, siano ancora l’unica via per essere qualcuno. Lei, invece, sogna un ritorno artistico, incoraggiata da una giovane band che la vuole al suo fianco sul palco.
Ma intanto riceve minacce: messaggi anonimi che la accusano di essere “troppo vecchia”, che la vogliono fuori scena. La presenza di un bodyguard, Robert Fallner (Murathan Muslu), ex poliziotto con un passato tormentato, rompe la quiete apparente. La protezione però si trasforma presto in un’indagine e, più ancora, in un confronto interiore tra due persone che la vita ha lasciato ai margini per motivi diversi.
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Ritratto di due solitudini
Simone Mankus è costruita nel film di Rai Premium Impossibile da uccidere come una figura complessa: narcisista e fragile, autoritaria e disorientata. Ha vissuto per essere desiderata e ora fatica ad accettare che la società la consideri irrilevante. La sua relazione con il figlio Jonas è simbiotica, quasi patologica. Non c’è spazio per altri affetti, e nemmeno per una reale crescita affettiva.
Jonas, a sua volta, è un personaggio spinto dalla dipendenza emotiva e da un bisogno malato di approvazione. Fallner, invece, è il contrario. Schivo, taciturno, tutto d’un pezzo. Un uomo che porta dentro una colpa (aver ucciso un ragazzo in servizio) e che nella protezione della diva trova un’ultima occasione per rimettere insieme i frammenti della propria identità. Eppure, anche lui rimane spesso in superficie: la sua evoluzione psicologica è suggerita, mai davvero esplorata. Il loro rapporto è fatto più di sguardi che di parole, di reciproco riconoscimento e di una malinconia condivisa. Sono due anime stanche, due sopravvissuti.

Oltre il riflesso
Il cuore del nel film di Rai Premium Impossibile da uccidere batte attorno a un’idea precisa: l’età, per una donna, è una condanna. In un mondo in cui gli uomini possono permettersi di invecchiare, le donne vengono invitate con violenza – spesso simbolica, talvolta reale – a farsi da parte. L’invecchiamento di una celebrità femminile diventa qui una metafora potente, incarnata in un corpo che è stato oggetto del desiderio collettivo e che ora viene respinto.
Lo stalker del film non è solo un disturbato: è il prodotto di una cultura che odia il decadimento dell’ideale. Le minacce che invia a Simone sono il grido di una società che non perdona a una donna di non essere più giovane.
C’è poi un discorso più sottile, ma altrettanto importante, sull’identità. Simone è prigioniera del suo personaggio: la diva, la femme fatale, la donna che “dove passa lei non cresce l’erba”. Ma chi è Simone davvero, quando si spoglia del trucco, delle pellicce, dei ricordi mitizzati? La regista insinua il dubbio, ma lascia che sia lo spettatore a tentare una risposta.
Quando cala il sipario
Il finale del film di Rai Premium Impossibile da uccidere non ha l’ambizione di scioccare. Non c’è un colpo di scena travolgente, né una catarsi liberatoria. Piuttosto, si resta con un senso di sospensione. Il mistero dello stalker si risolve, ma senza il pathos che ci si aspetterebbe da un thriller. È un epilogo che sembra dire: la vera minaccia non era mai all’esterno.
Il pericolo più grande, per Simone, era credere che potesse esistere ancora un “grande ritorno”, senza rinunciare a nulla del passato. Anche Fallner, alla fine, rimane spettatore silenzioso di una realtà che cambia troppo in fretta. Il loro legame resta ambiguo, fatto di complicità, forse di affetto, ma non evolve in qualcosa di definito. Un rifugio temporaneo più che una salvezza. Il concerto, simbolo del riscatto di Simone, si compie – ma è più un gesto di ostinazione che di trionfo. Nessuno viene davvero “salvato”. Ma qualcosa si è incrinato, forse in modo irreversibile.
L’eco dietro le luci
Impossibile da uccidere è un film che fa discutere più per quello che sottintende che per quello che mostra. Non ha la struttura compatta né il ritmo serrato di un thriller classico, ma si muove volutamente in zone d’ombra: fra immagine e identità, passato e presente, finzione e realtà.
Il gioco metacinematografico – con le clip tratte dai veri film di Iris Berben trasformate in momenti del passato di Simone – non è solo un omaggio all’attrice, ma anche un modo per riflettere sul ruolo del cinema nella costruzione del mito. Nina Grosse non firma un’opera perfetta, ma costruisce un mondo coerente, visivamente ricco, in cui ogni inquadratura sembra chiedere allo spettatore: “Cosa vedi davvero, dietro la maschera?”.
Non tutto funziona, e certe sottotrame restano irrisolte o poco approfondite. Ma Impossibile da uccidere lascia una traccia. Perché osa guardare in faccia il tempo che passa. Perché parla di donne che resistono, anche se nessuno le guarda più. E perché sa che certi fantasmi non si eliminano con un colpo di scena ma solo scegliendo, ogni giorno, di restare in scena.
Filmografia
Impossibile da uccidere
Thriller - Austria, Germania 2020 - durata 90’
Titolo originale: Nicht tot zu kriegen
Regia: Nina Grosse
Con Iris Berben, Murathan Muslu, Barnaby Metschurat, Katharina Nesytowa, Helgi Schmid, Johannes Zeiler
in TV: 13/11/2025 - Rai Premium - Ore 21.20


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