Dopo otto anni di silenzio cinematografico, Kathryn Bigelow, la regista premio Oscar per The Hurt Locker, riappare con un film che si rifiuta di essere solo un thriller: A House of Dynamite, su Netflix dal 24 ottobre.
Presentato in concorso a Venezia, il lungometraggio è una simulazione lucida, compressa in 112 minuti, che racconta cosa accadrebbe se una testata nucleare, di origine sconosciuta, fosse diretta verso una città americana. Il tempo a disposizione per reagire? Diciannove minuti.
Ma Bigelow non cerca il climax. Non offre una via d’uscita, non un eroe a cui aggrapparsi. Il suo è un film claustrofobico e ragionato, fatto di sigle militari, silenzi carichi, e decisioni che pesano come l’estinzione. È un’opera che guarda all’interno, non all’esterno. Il nemico non è identificato. Il vero antagonista è il sistema: quella macchina costruita per prevenire l’annientamento e che, paradossalmente, può provocarlo.

Un attacco visto da tre stanze diverse
Il film Netflix The House of Dynamite si apre come una normale giornata al Dipartimento della Difesa. DEFCON 4. Nulla di anomalo, finché un missile intercontinentale non viene intercettato sopra il Pacifico. La sua rotta: Chicago. L’origine: ignota.
Da qui, la narrazione si divide in tre atti, ognuno raccontato dallo stesso arco temporale ma da punti di vista diversi: Olivia Walker (Rebecca Ferguson), ufficiale in servizio nella Situation Room della Casa Bianca; Jake Baerington (Gabriel Basso), giovane vice consigliere per la sicurezza nazionale, intrappolato tra la diplomazia e l’urgenza; il Presidente (Idris Elba), presentato solo nella seconda metà, mentre cerca di decidere tra escalation e ritiro.
Ogni atto finisce prima dell’impatto. Ogni volta, lo spettatore conosce un nuovo pezzo del puzzle. Nessuna risposta definitiva, solo una comprensione più profonda della complessità e della paura.
Volti nel bunker
Nel film Netflix The House of Dynamite, Bigelow non costruisce personaggi “grandi”, costruisce semmai persone. Professionisti competenti, esausti, razionali. Non si cede a retorica né ad archetipi da blockbuster.
Olivia Walker non è un’eroina d’azione: è una madre, una professionista, una voce che tiene in piedi la catena di comando mentre la realtà vacilla. Il Presidente, interpretato con trattenuta umanità da Elba, è un leader che non ha tutte le risposte, né la certezza di essere all’altezza. Jake Baerington, invece, è il volto della nuova generazione: competente, ma ignorato. È lui a ipotizzare che l’attacco possa provenire da un attore non statale, o peggio, da un errore di sistema.
Accanto a loro, un cast corale di altissimo livello (Jared Harris, Tracy Letts, Greta Lee, Anthony Ramos) ognuno scolpito da brevi momenti di umanità rubata: un messaggio alla figlia, un accenno a una partita di basket, una telefonata a vuoto. Non per commuovere, ma per ricordare che dietro ogni acronimo ci sono vite in carne e ossa.

L’arte del terrore senza esplosione
Bigelow costruisce il panico senza mostrarlo. Nessuna città distrutta, nessun fungo atomico. Tutto è nel “prima”: la procedura, il dubbio, il ritardo. È la suspense di chi sa che qualcosa potrebbe accadere, ma non quando o se.
Il film Netflix The House of Dynamite si muove con rigore formale: camera a mano, luci fredde, montaggio serrato (a cura di Kirk Baxter), e una colonna sonora tesa come un nervo (Volker Bertelmann). Anche la grafica degli acronimi militari che si spiegano sullo schermo (“SSNB – Self-Sufficient Nuclear Bunker”) è parte di questo linguaggio cinematografico che simula la realtà senza mai spettacolarizzarla.
Geopolitica e fragilità
Nel mondo del film Netflix A House of Dynamite, la cosa più spaventosa è non sapere. Chi ha lanciato il missile? Perché? Cosa succede se si sbaglia risposta? L’incertezza paralizza e il rischio di escalation diventa inevitabile. È una riflessione sull’era post-verità, dove la trasparenza è un’illusione e ogni reazione può essere interpretata come aggressione.
Bigelow non giudica i suoi personaggi, ma mostra quanto siano impreparati, nonostante anni di addestramento. Tutto il sistema sembra funzionare… fino al momento in cui non serve più. Un’intera architettura di potere può franare perché un individuo, anche competente, è umano.
Il film solleva la domanda centrale: può esistere davvero una risposta razionale a una minaccia nucleare? Il dilemma si sintetizza in due parole: “surrender” o “suicide”. L’America (e il mondo) si muovono dentro questo binomio paralizzante. La deterrenza è diventata un atto di fede.

Il silenzio dopo il boato che non arriva
Il finale del film Netflix A House of Dynamite non esplode. Si spegne. Una scena silenziosa, improvvisa, ambigua. Niente fuoco, nessuna vittoria. Solo la vertigine di non sapere. La sala resta muta. Il film non dà risposte. Perché la verità è che nessuno ne ha.
E qui sta il cuore pulsante dell’opera: non ci troviamo davanti a un film che rassicura. È un film che disturba, che vuole scuotere lo spettatore, obbligarlo a considerare l’ipotesi che il nostro mondo potrebbe spegnersi non per un gesto malvagio, ma per una concatenazione di scelte razionali dentro un sistema insensato.
A House of Dynamite non è pensato per farci evadere, ma per farci restare. Davanti allo schermo, nelle notti successive, nei pensieri che tornano mentre si legge un giornale o si guarda il telegiornale. Bigelow ha firmato il film più teso dell’anno, ma anche uno dei più necessari. In un’epoca in cui l’apocalisse è a portata di tweet, ci costringe a porci la domanda che nessuno vuole affrontare: e se davvero accadesse?
Nel suo silenzio finale, A House of Dynamite dice molto più di mille monologhi. Non è un grido. È un avvertimento. E, forse, un atto di responsabilità.
Filmografia
A House of Dynamite
Thriller - USA 2025 - durata 112’
Titolo originale: A House of Dynamite
Regia: Kathryn Bigelow
Con Willa Fitzgerald, Rebecca Ferguson, Aminah Nieves, Gabriel Basso, Brian Tee, Idris Elba
Al cinema: Uscita in Italia il 08/10/2025
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta