Nadia Latif esordisce alla regia con il film C’è qualcuno nel mio scantinato, adattamento del romanzo di Walter Mosley su Disney+ dal 26 settembre, e firma un’opera ambiziosa che si muove tra thriller psicologico, parabola sociale e riflessione simbolica sul peso della memoria. Un film che si regge sull’intensità dei suoi interpreti (Willem Dafoe e Corey Hawkins) e sull’idea, per nulla rassicurante, che ciò che è stato sepolto non è mai davvero scomparso.
Al centro: un seminterrato, un patto insolito, e due uomini che incarnano tensioni razziali, morali e storiche. Quella che inizia come una soluzione temporanea a una crisi personale si trasforma in un confronto viscerale con le eredità più oscure dell’identità e della storia americana.

Una proposta al ribasso
Nel film C’è qualcuno nel mio scantinato, Charles Blakey (Corey Hawkins) ha toccato il fondo. Vive solo nella casa di famiglia a Sag Harbor, storica enclave afroamericana oggi inglobata nel ben più patinato universo degli Hamptons. Disoccupato, alcolizzato, pieno di debiti e con il rischio imminente di perdere l’abitazione, Charles sembra senza via d’uscita. Finché non si presenta alla sua porta Anniston Bennet (Willem Dafoe), uomo bianco, ricco, enigmatico, che gli propone un affitto fuori mercato per vivere, temporaneamente, nel suo scantinato. Un’offerta tanto assurda quanto irresistibile per un uomo in caduta libera.
L’accordo viene accettato. Ma quello che sembra un semplice scambio economico si trasforma in qualcosa di ben più disturbante. Bennet non solo si installa nel seminterrato, ma lo trasforma in una vera e propria cella: vuole essere rinchiuso, servito e controllato. Un esperimento? Una penitenza? Una provocazione? Per Charles, la discesa al piano inferiore segna l’inizio di un viaggio sempre più opprimente tra allucinazioni, rivelazioni e dinamiche di potere che ribaltano ogni schema.
Tra maschere e fantasmi
Nel preparare lo spazio per il nuovo inquilino, Charles trova una collezione di maschere africane, appartenute probabilmente ai suoi antenati, di cui ignorava l’esistenza. Oggetti misteriosi, intrisi di storia e spiritualità, che aprono una crepa nel presente e gettano luce su un passato rimosso. Con l’aiuto di Narciss (Anna Diop), esperta d’arte e unica figura affettiva genuina nella sua vita, Charles inizia a intuire il valore, non solo economico, di quei reperti. Ma la loro presenza scatena anche visioni inquietanti e una crescente tensione tra coscienza e inconscio.
Lo scantinato diventa così uno spazio liminale, sospeso tra passato e presente, tra reale e simbolico. Ogni incontro tra Charles e Bennet, ogni dialogo criptico, ogni gesto ripetuto, contribuisce a creare un’atmosfera asfissiante dove il confine tra vittima e carnefice si fa sfumato. Più Charles cerca di mantenere il controllo, più il suo ruolo si capovolge. E alla fine, sarà costretto a interrogarsi non solo su chi è l’uomo che ha accolto in casa, ma su cosa rappresenti davvero per lui quella “prigione” sotterranea.

Due uomini, un solo inferno
Il cuore del film C’è qualcuno nel mio scantinato è il confronto serrato tra Charles e Anniston, due personaggi che sembrano opposti ma si rivelano progressivamente speculari. Charles è il volto dell’apatia, della rimozione, dell’identità negata. Anniston è l’incarnazione di una colpa bianca che non cerca redenzione, ma osservazione. Non vuole espiare, vuole essere testimone, e trascinare con sé Charles nel fango della responsabilità condivisa.
Dafoe offre una prova magnetica, che gioca sulla sottigliezza e sull’inquietudine, mentre Hawkins incarna una disperazione trattenuta, mai espressa pienamente, ma sempre sul punto di esplodere. Tra loro si sviluppa un rapporto di dipendenza e di potere, una danza ambigua che si fa metafora dei rapporti razziali, dei cicli di dominio e sottomissione, e di come il passato, anche se dimenticato, continui a esercitare il suo peso.
Maschere, cicli, e memorie interrotte
I temi affrontati dal film C’è qualcuno nel mio scantinato sono numerosi, forse troppi per trovare compiuta sintesi. Il lungometraggio tocca la trasmissione intergenerazionale del trauma, il valore della memoria culturale, la colpevolizzazione e la cancellazione della storia. Interroga lo spettatore su cosa significhi “possedere” un’eredità, su quanto il presente sia condizionato da ciò che è stato sotterrato (fisicamente e simbolicamente) nelle fondamenta delle famiglie, delle comunità, delle nazioni.
Le maschere africane, che agiscono quasi come presenze vive, diventano emblema del legame con un’origine rimossa. Charles è l’uomo che ha perso il contatto con le sue radici, mentre Bennet è l’uomo che vuole appropriarsene, incastonando la cultura altrui in un processo di osservazione, controllo e consumo. Il film suggerisce che la storia, quando viene dimenticata o mercificata, si vendica. E che la presa di coscienza è un processo doloroso, non sempre liberatorio, ma necessario.
Una regista in cerca di un linguaggio
Il film C’è qualcuno nel mio scantinato non è privo di difetti. L’ambizione tematica a volte soffoca la linearità narrativa. La regia di Latif, pur elegante e attenta alla composizione visiva, appare esitante nel costruire una tensione continua. I momenti onirici e disturbanti restano confinati, senza mai deflagrare. L’orrore psicologico è più suggerito che incarnato, e le molte domande aperte faticano a trovare un eco strutturato nella sceneggiatura.
Ma C’è qualcuno nel mio scantinato resta un esordio interessante, non solo per la potenza degli attori coinvolti, ma per il coraggio di affrontare, seppure in modo irrisolto, questioni complesse e scomode. È un film che lascia qualcosa in sospeso, come un sogno da cui ci si sveglia inquieti, sapendo di aver visto qualcosa di importante ma non del tutto comprensibile.
In un’epoca in cui il discorso pubblico è sempre più polarizzato, C’è qualcuno nel mio scantinato ha il merito di non offrire soluzioni facili. Parla del peso della storia, della responsabilità individuale, dell’identità come costruzione fragile e conflittuale. È un film imperfetto, ma che osa. E che, proprio nella sua incertezza, ci ricorda che il vero orrore non è nella cella costruita da Anniston, ma nei silenzi che abbiamo lasciato crescere sopra le fondamenta delle nostre vite. Perché ciò che è stato sepolto non ha mai smesso di respirare.
Filmografia
C'è qualcuno nel mio scantinato
Horror - Regno Unito, USA 2025 - durata 115’
Titolo originale: The Man in My Basement
Regia: Nadia Latif
Con Willem Dafoe, Corey Hawkins, Brian Bovell, Anna Diop, Mark Arnold, Tamara Lawrance
in streaming: su Disney Plus
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