Paese delle fate, su Prime Video dal 3 ottobre, è un film che non si concede il lusso dell’evasione. Né fiaba né melodramma puro, il debutto alla regia di Andrew Durham adatta Fairyland: A Memoir of My Father di Alysia Abbott con uno sguardo intimo, personale, filtrato da una prospettiva chiara: quella di una figlia che osserva, cresce, si scontra e, infine, si riconcilia con la figura complessa di un padre che cerca di reinventarsi in un’America ancora ostile. Ambientato nella San Francisco queer tra gli anni ’70 e l’esplosione dell’AIDS negli anni ’80, il film è prodotto da American Zoetrope, con Sofia Coppola tra i nomi dietro al progetto.
Durham sceglie di non caricare di ideologia la storia. Non spiega, non semplifica, non trasforma i personaggi in bandiere. Mostra, invece, la vita quotidiana di un padre e una figlia alle prese con una libertà conquistata e pagata a caro prezzo. Un racconto che attraversa due decenni e lascia spazio a silenzi, errori, contraddizioni.

La storia vera dietro la pellicola
Alysia Abbott ha davvero vissuto nel “paese delle fate” che dà il titolo al film Prime Video: non quello dei sogni, ma quello costruito, spesso a fatica, da una generazione queer alla ricerca di una nuova normalità. Suo padre, Steve Abbott, era poeta, attivista, e dichiaratamente gay in un’epoca in cui farlo pubblicamente significava esporsi a stigma e pericolo.
Dopo la morte della moglie, Steve si trasferisce con la figlia a San Francisco, nella comunità bohemienne di Haight-Ashbury, e la cresce in mezzo ad amici, amanti, militanti e artisti. L’autobiografia, pubblicata nel 2013, non è un atto d’accusa ma un tentativo di comprendere: come si cresce accanto a un genitore fuori dalle convenzioni? E cosa significa, dopo anni, fare i conti con quel passato?
Durham prende spunto da queste domande e porta sullo schermo una versione filtrata dalla soggettività di Alysia, mettendo lo spettatore nelle sue scarpe: prima da bambina che accetta tutto senza chiedere, poi da adolescente che inizia a giudicare, e infine da adulta che cerca di capire.
Uno sguardo da figlia
Il cuore del film Prime Video Paese delle fate è la relazione tra Alysia e Steve. Due personaggi lontani dallo stereotipo: lui non è l’eroe queer irreprensibile, lei non è la figlia paziente e comprensiva. Steve è impulsivo, caotico, a tratti irresponsabile; un padre che ama ma non sempre sa come esserlo. Affida la figlia a se stessa troppo presto, la espone a un mondo adulto ancora prima che lei sia pronta. Ma è anche un uomo che ha perso la moglie, che ha deciso di vivere senza più nascondersi, e che cerca di trasmettere un’idea di libertà a sua figlia. Scoot McNairy lo interpreta con misura e malinconia, evitando ogni retorica.
Alysia, interpretata nella sua versione adolescente da Emilia Jones, attraversa una trasformazione credibile: da bambina senza filtri a ragazza che sente il peso della differenza. Le battute omofobe dei compagni, il disagio per la sessualità esplicita del padre, il bisogno di trovare una propria identità autonoma. Il film non giudica nessuno dei due: mostra come l’amore possa convivere con la rabbia, la cura con la distanza, l’ammirazione con il rifiuto.

Tempi che cambiano, corpi che si ammalano
Sul piano storico, il film Prime Video Paese delle fate è anche un racconto di transizione. La San Francisco degli anni ’70 è viva, irriverente, piena di promesse. Ma il passaggio agli anni ’80 porta con sé ombre più profonde: Reagan, l’AIDS, la recrudescenza dell’omofobia. Durham non forza la mano con spiegoni didascalici: mostra marce, leggi, funerali. Lascia che sia il volto di Steve a raccontare la paura, la stanchezza, il lutto. O quello di Paulette, la coinquilina diventata farmacista, che chiude un cerchio con la sua sola presenza nel finale.
La malattia di Steve arriva come un’onda silenziosa e inevitabile. Non è trattata come colpo di scena, ma come parte di una storia già segnata. L’AIDS non è solo un fatto clinico, ma anche culturale e sociale. Il film lo accenna, ma non lo approfondisce davvero: resta concentrato sulla relazione privata, sulle conseguenze intime più che politiche.
Costruire una casa con quello che resta
Il “paese delle fate” evocato dal titolo non è un’utopia. È un luogo imperfetto, fatto di crepe e tentativi, in cui si cerca di costruire una famiglia fuori dagli schemi. Non c’è morale, né lieto fine nel senso tradizionale. C’è una figlia che torna da Parigi per accompagnare il padre nella sua fine, c’è un uomo che chiede: “Sono stato un buon padre?”. C’è un silenzio che finalmente diventa comprensione.
Dal punto di vista visivo, il lavoro di Greta Zozula alla fotografia regge l’ossatura del film Prime Video Paese delle fate: i Super 8 degli anni ’70 restituiscono lo sguardo infantile e confuso di Alysia, mentre gli anni ’80 diventano più netti, meno sognanti, quasi più duri. L’architettura visiva accompagna la crescita della protagonista senza mai prendersi il centro della scena.
La verità delle piccole cose
Paese delle fate non è un film perfetto. Ha squilibri, personaggi secondari accennati e poi dimenticati, scene che si dilungano. Ma ha anche onestà. Non cerca di piacere a tutti, non vuole educare o commuovere con facili scorciatoie. Racconta una storia specifica, con la consapevolezza che dietro quella storia ce ne sono molte altre: padri che hanno amato come potevano, figli che hanno imparato a capirli troppo tardi, comunità che hanno creato nuovi legami in assenza di quelli biologici.
In un panorama spesso affollato di narrazioni queer che cercano visibilità attraverso l’eccezionalità o il trauma spettacolarizzato, Paese delle fate resta con i piedi per terra. Non cerca l’eroismo, ma la verità nelle piccole cose: un pettine dimenticato, una voce rotta al telefono, una mano stretta in ospedale. Una fiaba senza morale, ma con tanta vita dentro.
Filmografia
Paese delle fate
Drammatico - USA 2023 - durata 114’
Titolo originale: Fairyland
Regia: Andrew Durham
Con Emilia Jones, Scoot McNairy, Geena Davis, Cody Fern, Bella Murphy, Adam Lambert
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