In onda su Rai 5 la sera del 16 settembre, Amo la tempesta non è un film di denuncia, né una commedia familiare tradizionale. È piuttosto un atto di resistenza emotiva mascherato da viaggio surreale. Un’opera che affronta il tema della “fuga dei cervelli” senza trattati sociologici, ma spostando il fuoco sull’eco lasciata da chi parte: i genitori rimasti indietro. Ed è proprio da lì che nasce il racconto.

Il rapimento come dichiarazione d’amore
La trama del film di Rai 5 Amo la tempesta è costruita su un paradosso: un gruppo di genitori italiani decide di rapire i propri figli emigrati per riportarli a casa. Una premessa che sfiora l’assurdo, eppure riesce a tenere insieme tenerezza, malinconia e un’ironia mai gratuita. Al centro di tutto c’è Angelo, interpretato con misura da Nando Paone, autista di scuolabus e padre che non si rassegna alla distanza con il figlio, trasferitosi in Germania in cerca di un futuro migliore. Il suo viaggio non è solo fisico: è un tentativo di recuperare dignità, di restituire senso a un ruolo genitoriale svuotato dal tempo e dalle circostanze.
Angelo scopre che non è il solo a sentirsi così. Incontra altri genitori nella stessa condizione, tra cui figure interpretate da volti noti come Tony Sperandeo, Ugo Dighero e Maurizio Donadoni. Insieme mettono in piedi una sorta di “resistenza affettiva”: una missione quasi folle per ristabilire un legame familiare sempre più labile. La destinazione è la Germania, ma il bersaglio è più profondo: la disgregazione silenziosa di un modello sociale, e l’incapacità di molti di reinventarsi un ruolo in questo nuovo contesto.
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La solitudine dietro le facce conosciute
Angelo, nel film di Rai 5 Amo la tempesta, è un uomo che si muove nella storia come in una zona d’ombra. Paone riesce a scolpire un personaggio dolente senza mai calcare la mano: la sua forza è tutta nella sottrazione, nel modo in cui nasconde più di quanto mostra. Attorno a lui, il cast è ampio e disomogeneo. Ci sono presenze sorprendenti come Ferruccio Soleri ed Elisabetta Pozzi, apparizioni brevi ma evocative come quelle di Enzo Iacchetti e Giobbe Covatta, e giovani attori ancora acerbi che mettono in risalto, per contrasto, la maturità degli interpreti più navigati.
Maya Sansa, nei panni della moglie di Angelo, è quasi un’assenza che accompagna. Il suo personaggio, mai urlato, è una presenza sottile e poetica che segue il marito nel suo viaggio come una voce interiore. Non consola, non giudica: osserva, lasciando allo spettatore il compito di colmare i vuoti.

Un Paese in cerca di figli
Il tema della “fuga dei cervelli” è solo la punta dell’iceberg. Il film di Rai 5 Amo la tempesta non si limita a mettere in scena il fenomeno dell’emigrazione dei giovani in cerca di opportunità: scava nel vuoto che questa partenza genera. Non è un film su chi parte, ma su chi resta. I padri e le madri protagonisti non chiedono solo un ritorno fisico: chiedono che il legame non si spezzi. La loro reazione (un rapimento simbolico) è un modo disperato per riappropriarsi di un ruolo da cui la società li ha lentamente estromessi.
Losi sceglie di raccontare tutto questo evitando il registro del dramma sociale. La sua ironia non è evasione, ma un modo per abbassare le difese dello spettatore e portarlo, quasi senza accorgersene, dentro una riflessione profonda. Lo squilibrio tra Italia e Germania, i limiti del nostro sistema produttivo e universitario, l’erosione del modello familiare tradizionale: tutto questo attraversa il film, ma senza mai farsi manifesto.
Oltre il confine, oltre il tempo
Il viaggio di Angelo è una traversata simbolica. Parte da un’Italia che non riesce più a trattenere i suoi figli e arriva in un’Europa che ha saputo intercettarne i talenti. Ma più che uno scontro tra nazioni, quello raccontato è un conflitto interiore. Il padre che va a “riprendersi” il figlio non lo fa per egoismo, ma perché crede ancora che la vicinanza sia una forma di cura. Il vero antagonista non è la Germania, né il figlio emigrato, ma il tempo che scorre e cambia le regole senza avvisare.
Il film di Rai 5 Amo la tempesta si muove tra strade polverose e treni notturni, tra sogni infranti e speranze ricucite a mano. Non cerca soluzioni, ma racconta l’impaccio generoso di chi ci prova. E in questo, forse, sta la sua forza più grande: nel riconoscere che il desiderio di essere ancora parte della vita dei propri figli non è una pretesa, ma un bisogno umano.
Una tempesta che ci riguarda tutti
Amo la tempesta è un titolo che contiene già una scelta: non si scappa dalla confusione, la si attraversa. Maurizio Losi, al suo esordio, sceglie di raccontare il presente con uno sguardo laterale, ironico e malinconico. Il suo film parla di legami familiari, di cambiamenti generazionali, di un Paese che cerca ancora un posto nel futuro. Ma soprattutto parla di quel vuoto lasciato da chi parte e di chi resta a guardare la porta chiusa, con in mano un’idea folle: provare, con ogni mezzo, a riaprirla.
In un’epoca in cui si moltiplicano le storie su giovani che se ne vanno, Amo la tempesta si prende il rischio di raccontare chi resta. E in quel racconto, anche se surreale, c’è forse la verità più concreta che il nostro cinema abbia saputo dirci da tempo.
Filmografia
Amo la tempesta
Commedia - Italia 2016 - durata 110’
Regia: Maurizio Losi
Con Nando Paone, Maya Sansa, Leonardo Lidi, Chiara Anicito
Al cinema: Uscita in Italia il 06/08/2020
in TV: 16/09/2025 - Rai 5 - Ore 21.15
in streaming: su Rai Play
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