Nel panorama del cinema americano recente, il film Il fuoco del peccato, in prima tv su Rai 2 la sera del 23 novembre, rappresenta un ritorno di Neil LaBute alla regia cinematografica dopo anni di assenza, con un’opera che si rifà dichiaratamente alla tradizione del noir.
LaBute, noto per le sue narrazioni ciniche e provocatorie, sceglie questa volta di confrontarsi con un genere che ha costruito gran parte del suo fascino su ambiguità morali, seduzioni pericolose e destini segnati. Ma lo fa con un approccio che non segue pedissequamente le regole del gioco: anziché accelerare verso l’inevitabile, rallenta. Anziché ingannare, mostra. Il risultato è un’opera che dialoga con il noir non tanto per celebrarlo, ma forse per svuotarlo delle sue certezze.

Un amore col fiato corto
La storia del film di Rai 2 Il fuoco del peccato si concentra sull’incontro tra Connor Bates (Ray Nicholson), un ex-detenuto solitario che lavora come bibliotecario in una cittadina costiera del Rhode Island, e Marilyn Chambers (Diane Kruger), una donna più matura, affascinante e, secondo quanto racconta, vittima di un marito violento e ricco.
Il loro primo incontro, sulle rive dell’oceano, è un momento apparentemente casuale che innesca una spirale di passione e, col tempo, di complicità criminale. Ma il delitto (la proposta di uccidere il marito di lei) arriva tardi. LaBute dilata il tempo: costruisce il loro legame tra corse sulla spiaggia, letture noir nella biblioteca, incontri fugaci e silenzi carichi di sottintesi.
Intorno alla relazione tra Connor e Marilyn gravitano altre figure, come Kim, la collega di Connor invaghita di lui, e Astrid, la figliastra adolescente di Marilyn, che diventa elemento laterale ma cruciale per le dinamiche tra i protagonisti. E poi c’è il passato di Connor, che incombe sul presente attraverso la presenza ossessiva e opprimente del suo ufficiale di sorveglianza, interpretato da Hank Azaria. Un uomo più interessato a esercitare controllo che a garantire reintegrazione, e che porta il suo ruolo come una minaccia ambulante.
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L’inganno senza mistero
Uno degli aspetti più curiosi del film di Rai 2 Il fuoco del peccato è il rapporto che intrattiene con la suspense. Fin dall’inizio, il film sembra annunciare dove andrà a parare: i riferimenti diretti a Il postino suona sempre due volte, i dialoghi tra i protagonisti che fluttuano tra la tentazione e il fatalismo, le inquadrature cariche di simbolismi espliciti (il bagno nell’oceano, il libro noir tra le mani, la casa isolata).
Non c’è mistero sull’esito: l’omicidio avverrà. La tensione, quindi, non nasce dal dubbio, ma dall’attesa. Ed è un’attesa che si fa esasperante, accentuata dall’uso sistematico (e spesso gratuito) di didascalie temporali che scandiscono giorni, ore, settimane, senza incidere sul ritmo narrativo.
Il racconto si comporta come se la sua prevedibilità fosse parte integrante dell’esperienza: non si tratta di scoprire cosa succederà, ma di osservare come ci si arriverà. La verità non viene occultata, ma esposta con deliberazione. E questa scelta stilistica ha un effetto straniante: toglie tensione, ma rafforza il senso di ineluttabilità.

Tra colpa e desiderio
Connor è il cuore emotivo e contraddittorio del film di Rai 2 Il fuoco del peccato. Ex detenuto in cerca di redenzione, vive ai margini, aggrappato alla normalità faticosamente riconquistata. Ma la sua fragilità emotiva lo rende vulnerabile. Marilyn lo attrae non solo per la sua bellezza, ma perché incarna un’idea di salvezza e, paradossalmente, di utilità: Connor vuole sentirsi necessario. L’idea di poterla “salvare” o addirittura vendicare diventa l’alibi per mettere a tacere i dubbi morali. Ma la sua inesperienza, unita a un’ingenuità quasi infantile, lo rende il bersaglio perfetto per una dinamica in cui la manipolazione si maschera da amore.
Il passato violento di Connor non lo definisce quanto il suo desiderio di riscatto. E proprio questa tensione tra colpa e redenzione lo rende cieco. Non vede i segnali. Non riconosce la possibilità di essere strumentalizzato. O forse non vuole farlo, pur di non perdere l’unico legame che dia un senso al suo presente.
Marilyn, dal canto suo, è la quintessenza della femme fatale moderna: sensuale, in apparenza ferita, ma con un’autonomia narrativa che cresce col procedere della storia. È lei a stabilire le regole del gioco, a suggerire i riferimenti letterari, a evocare il noir come cornice per legittimare il desiderio di liberazione.
Ma quel desiderio di uscire da un matrimonio violento, di proteggere Astrid e di fuggire con Connor, resta ambiguo. I suoi racconti non sono mai confermati da fatti. Le sue intenzioni, anche quando appaiono sincere, portano sempre con sé un retrogusto di calcolo. Non sappiamo se menta, ma tutto nel film sembra dirci che potrebbe farlo. E questo basta a metterla sotto una luce ambivalente.
Nel mondo di Il fuoco del peccato, le donne non sono vittime passive, ma nemmeno eroine limpide. Kim, ad esempio, è l’unico personaggio che agisce in modo diretto e coerente, ma viene ridotta a una funzione narrativa secondaria. Marilyn, invece, è il fulcro intorno a cui ruota ogni tensione, proprio perché sfugge a una lettura univoca. Non è solo una donna da salvare: è anche quella che decide quando e da chi farsi salvare.
Un noir che riflette su se stesso
I temi affrontati dal film di Rai 2 Il fuoco del peccato affondano le radici nei classici del noir, ma con uno sguardo contemporaneo che ne svela i meccanismi anziché immergersi in essi. Il desiderio di fuga, la tensione tra amore e colpa, la fascinazione per la trasgressione, la donna come figura enigmatica e catalizzatrice del destino maschile: tutto è presente, ma visto come attraverso una lente deformante.
L’abbondanza di intertitoli temporali, le situazioni volutamente esasperate, le scene di sesso poco plausibili e fuori contesto suggeriscono un tono che oscilla tra la parodia e l’omaggio, tra la citazione colta e il gioco narrativo.
LaBute sembra voler riflettere sulla natura stessa del noir, mostrandone i cliché fino al punto di renderli vuoti. Non c’è romanticismo, non c’è pathos, ma una coreografia prevedibile che non cerca la sorpresa bensì la coerenza strutturale. Il noir, in Il fuoco del peccato, diventa quasi un linguaggio morto, ripetuto meccanicamente da personaggi intrappolati in ruoli che conoscono fin troppo bene. Il film non nasconde la sua artificiosità, anzi la espone come elemento centrale.
Il peccato come struttura, non come colpa
Il film di Rai 2 Il fuoco del peccato non è un thriller costruito per stupire, né un noir pensato per commuovere. È un esercizio di stile che usa i codici del genere per costruire un racconto che ruota intorno a due figure isolate, fragili, incapaci di sottrarsi a un destino già scritto. Connor e Marilyn non sono tanto amanti in lotta contro il mondo, quanto pedine in un gioco che conoscono, ma che sperano di poter piegare al proprio vantaggio. È questo, forse, il cuore del film: la tensione tra consapevolezza e illusione.
Neil LaBute non nasconde le sue fonti, non cerca di nascondere le tracce. Il suo film non reinventa il noir: lo svela. Mostra cosa resta quando si toglie il mistero, quando si anticipa la fine, quando si lascia che i personaggi parlino come se sapessero già di essere dentro un noir. Il fuoco del peccato non è il racconto di un delitto passionale. È il racconto di un genere che guarda se stesso allo specchio. E si chiede se, oggi, abbia ancora qualcosa da dire.
Filmografia
Il fuoco del peccato
Giallo - Usa 2022 - durata 104’
Titolo originale: Out of the Blue
Regia: Neil LaBute
Con Diane Kruger, Ray Nicholson, Gia Crovatin, Hank Azaria
in TV: 23/11/2025 - Rai 2 - Ore 21.00
in streaming: su Google Play Movies Amazon Video Rakuten TV Timvision Apple TV
Il postino suona sempre due volte
Drammatico - Usa/Rft 1981 - durata 121’
Titolo originale: The Postman Always Rings Twice
Regia: Bob Rafelson
Con Jack Nicholson, Jessica Lange, John Colicos, Michael Lerner
in TV: 26/11/2025 - Sky Cinema Suspense - Ore 06.35
in streaming: su Now TV Sky Go Google Play Movies Apple TV



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