Cosa resta dell’amore quando tutto il resto è già stato costruito è al centro del film Millers in Marriage, su Paramount+ dal 21 luglio. Edward Burns - regista, sceneggiatore, interprete e, a modo suo, antropologo delle crisi borghesi - torna con un film che sa di resa dei conti. Non tanto tra i personaggi, quanto tra il suo cinema e l’inevitabile domanda: quanto puoi parlare di sentimenti se sei circondato da comfort e privilegi?

Benjamin Bratt, Gretchen Mol
Millers in Marriage (2024) Benjamin Bratt, Gretchen Mol

Cronaca di tre matrimoni in agonia

Tre fratelli, tutti artisti. Tre matrimoni, tutti in crisi. È tutto qui il film Millers in Marriage. Eppure, è tanto. Burns struttura il film come un trittico intimo, punteggiato da flashback che agiscono come piccole fenditure nella narrazione presente. Una forma elegante, quasi teatrale, ma con lo spirito del dramma borghese alla francese, quello fatto di confessioni sussurrate tra un bicchiere di vino e un weekend nella casa in campagna.


Andy (interpretato dallo stesso Burns) è un pittore bohémien dai capelli lunghi e dallo sguardo spaesato. È stato lasciato da Tina (Morena Baccarin), fashion executive di successo, ma lei non sembra volergli permettere di rifarsi una vita con Renee (una Minnie Driver più sensata di quanto la sceneggiatura le consenta di essere). La tensione qui è tutta nelle omissioni, nelle mezze verità e nella memoria tossica di una relazione che non sa morire.


Maggie (Julianna Margulies), scrittrice di romanzi di successo, convive con il fallimento professionale del marito Nick (Campbell Scott), un autore bloccato e frustrato, tanto da scivolare in un risentimento passivo-aggressivo che confina con il sadismo emotivo. Il loro matrimonio è il più stratificato, il più crudo: letteralmente e metaforicamente, Maggie sta scrivendo la fine della loro unione.


E poi c’è Eve (Gretchen Mol), ex rockstar anni ‘90, oggi madre a tempo pieno e moglie di Scott (Patrick Wilson), un manager musicale assente, alcolizzato e tossico. È la sua storia quella che colpisce di più: un’esistenza sacrificata per un uomo che non la guarda più, una donna che, dopo anni di silenzio, ricomincia a scrivere canzoni e a chiedersi se sia troppo tardi per ricominciare da sé.

Arte, amore e altre illusioni

I Miller sono tre anime artistiche sospese tra memoria e frustrazione. Ma Millers in Marriage non è davvero un film sull’arte. Non vediamo Andy dipingere, né leggiamo le pagine di Maggie, né ascoltiamo una canzone completa di Eve. L’arte, qui, è un’etichetta, un distintivo di classe, non un motore interiore.


Tutti i personaggi orbitano intorno alla propria malinconia come pianeti stanchi. Scott è il villain dichiarato, un esempio di mascolinità tossica caricaturale. Nick è il fallito in cerca di colpevoli. Tina è la manipolatrice, ma non senza motivazioni. Renee è la nuova chance, ma destinata a diventare il prossimo rimpianto. Johnny (Benjamin Bratt), giornalista musicale, incarna il passato che torna a bussare, non per nostalgia, ma per testare il presente.

Brian d'Arcy James, Julianna Margulies
Millers in Marriage (2024) Brian d'Arcy James, Julianna Margulies

Il matrimonio come rottura continua

Il film Millers in Marriage affonda nelle dinamiche della coesistenza adulta, lì dove l’amore non è più passione ma routine, compromesso, paura di restare soli. Burns esplora la fragilità del desiderio quando si scontra con il tempo e le scelte fatte. Ogni coppia è allo stesso tempo prigioniera e carceriere. La domanda non è “ci si ama ancora?”, ma “vale la pena distruggere tutto per cercare qualcosa di diverso?”


C’è anche un tema latente: quello del privilegio. Tutti i personaggi vivono in case enormi, con tempo libero e capitali culturali infiniti. Burns, con una certa consapevolezza, prova a disinnescare la critica attraverso battute metatestuali (“scrivi solo di champagne e problemi da ricchi”), ma non basta. Il disagio che vediamo in scena è reale, ma filtrato da un’estetica troppo levigata per sembrare autentica.

Un film, non cinema rivoluzionario

Con Millers in Marriage Burns firma il film più curato della sua carriera, ma anche uno dei meno incisivi. L’approccio visivo è sobrio, elegante, ma raramente ispirato. La regia si limita a registrare, più che a raccontare. La colonna sonora di Andrea Vanzo, fatta di soli di pianoforte malinconici, sottolinea il tono senza mai sovrastarlo, ma contribuisce a quell’effetto “camera ovattata” che stacca il film dal mondo reale.


Millers in Marriage
è un film per adulti che parlano poco, pensano troppo e non sanno più se sono innamorati o semplicemente abituati. È imperfetto, a volte fastidioso, ma anche onesto nel suo intento: raccontare cosa succede quando si arriva a metà strada della vita e ci si guarda intorno con la sensazione che, forse, nulla sia più come ce lo si era immaginato.


Burns non giudica i suoi personaggi. Li osserva con una malinconia partecipe, quasi affettuosa. Ma la distanza tra ciò che racconta e come lo racconta, tra il dolore espresso e il contesto privilegiato in cui accade, è difficile da ignorare. È un film che non vuole fare pace con nessuno, ma neanche rompere davvero gli schemi.


E forse è proprio questo il suo messaggio più autentico: che l’arte e l’amore, a volte, non servono a cambiare il mondo. Solo a farci compagnia mentre cerchiamo di capirlo.

Autore

Redazione

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Filmografia

locandina Millers in Marriage

Millers in Marriage

Drammatico - USA 2024 - durata 117’

Titolo originale: Millers in Marriage

Regia: Edward Burns

Con Morena Baccarin, Minnie Driver, Benjamin Bratt, Patrick Wilson, Campbell Scott, Julianna Margulies

in streaming: su Paramount+ Amazon Channel Paramount+