In un panorama cinematografico che riflette sempre più le zone d’ombra del presente, il film Blood Star, su Rai 4 la sera del 27 novembre, arriva come un thriller che utilizza gli spazi aperti per parlare di costrizioni, e la figura dell’autorità per interrogare il rapporto tra vulnerabilità e potere.


L’esordio alla regia di Lawrence Jacomelli si colloca dentro la tradizione dei survival thriller americani ambientati sulle arterie isolate: un territorio narrativo che, da Duel in avanti, ha trasformato l’auto e l’asfalto in luoghi di tensione. Ma Blood Star non cerca solo la suspense; innesta nel suo racconto un discorso contemporaneo sul ciclo della violenza domestica, sui limiti dell’istituzione che dovrebbe proteggerci e sulla difficoltà di scegliere una via d’uscita quando tutte le strade sembrano portare nella direzione sbagliata.


Al centro c’è Bobbie, una giovane donna che imbocca una strada nel deserto del New Mexico e, senza saperlo, entra in un territorio dove il confine tra legge e abuso si è dissolto da tempo. L’incontro con lo sceriffo Bilstein innesca un gioco al massacro che attraversa chilometri di asfalto e una lunga serie di zone grigie emotive. Il risultato è un film che utilizza la tensione per parlare del mondo che la produce.

Sydney Brumfield, Britni Camacho
Blood Star (2025) Sydney Brumfield, Britni Camacho

Una strada che stringe

La prima immagine del film di Rai 4 Blood Star imposta subito il tono: una donna ferita che tenta di sfuggire a un’auto lanciata contro di lei nella notte. Una sequenza breve, ma sufficiente per intuire la presenza di un predatore e l’inevitabilità della violenza che sta per abbattersi sulle protagoniste del film.

Di giorno, la storia entra nel vivo seguendo Bobbie mentre attraversa il deserto a bordo della sua Mustang.

È in fuga, o forse sta tornando indietro; la telefonata con la sorella lascia intuire che la scelta di rivedere il suo fidanzato – lo stesso che l’ha picchiata – non sia dettata da desiderio, ma da una mancanza di alternative. È qui che compare lo sceriffo Bilstein: un incontro apparentemente casuale a una stazione di servizio, una conversazione breve ma stonata, un’offerta di cortesia che sa di minaccia. Basta questo per far scattare l’inquietudine.


Poco dopo, Bilstein la ferma per un’infrazione dubbia, la accusa di aver danneggiato la sua auto, le ritira il telefono, la isola. L’escalation è rapida: la strada aperta diventa una trappola, le poche stazioni di rifornimento degli spazi ostili, le persone incontrate – come il giovane addetto al distributore o la cameriera Amy – frammenti di un mondo che sembra incapace di opporsi alla violenza dello sceriffo. Quando Bobbie prova a fuggire, Bilstein non si limita a inseguirla: la bracca, la tormenta, e progressivamente rivela la sua abitudine a scegliere giovani donne come prede.


Il percorso narrativo procede per balzi, come una corsa interrotta da ostacoli e deviazioni. Alcuni tentativi di soccorso falliscono, altre figure entrano brevemente nella storia per esserne inghiottite. L’orizzonte resta immutato, ma la sensazione è che non esista un punto realmente sicuro.


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Maschere e fessure

La forza del film di Rai 4 Blood Star risiede nella costruzione di due figure che, pur opposte, sembrano legate da un meccanismo perverso.


Bobbie è presentata come una ragazza che porta addosso i segni della violenza subita: una relazione tossica alle spalle, un padre capace di fratturarle un braccio, una vita di fughe brevi e ritorni forzati. Non è un personaggio idealizzato; il film sottolinea le sue fragilità, i gesti impulsivi, l’incapacità di trovare un reale appoggio affettivo. Ma proprio queste crepe ne fanno un personaggio tridimensionale: la sua sopravvivenza non nasce da una forza innata, bensì da un processo costoso e doloroso, dalla scelta – spesso involontaria – di resistere quando il mondo sembra offrirle soltanto nuove forme di abuso.


Di contro, lo sceriffo Bilstein incarna l’archetipo dell’autorità corrotta. Non ha bisogno di grandi monologhi: basta la routine con cui usa la divisa come arma, la naturalezza con cui trasforma un controllo in un’aggressione, la sicurezza di chi sa che il deserto è il suo campo di caccia. La sua misoginia non è un tratto accessorio, ma la fonte del suo potere: un potere autoritario, locale, quotidiano, che non ha bisogno di complotti o grandi motivazioni per esistere. In questo senso, Bilstein è più inquietante proprio perché plausibile.


Attorno a loro si muovono personaggi che, pur apparendo per poco, aggiungono sfumature al racconto. Amy, la cameriera licenziata, è l’unica a instaurare un legame sincero con Bobbie: nel loro breve dialogo emerge un’alleanza spontanea tra donne segnate da ferite simili, un fragile lampo di solidarietà nel mezzo del caos. Altri personaggi – il giovane addetto al distributore, il camionista che tenta di aiutare – funzionano come specchi distorti di un’America periferica spaesata, incapace di opporsi a figure come Bilstein, o semplicemente troppo isolata per farlo.

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Blood Star (2025) scena

La strada come luogo di potere

Sotto la superficie di thriller, il film di Rai 4 Blood Star mette in scena alcune questioni che attraversano la società americana contemporanea.


La prima è la riflessione sul ciclo della violenza domestica. Bobbie percorre il deserto per tornare dall’uomo che l’ha picchiata, segno di un legame psicologico difficile da spezzare. Le sue telefonate con la sorella, le esitazioni, la mancanza di risorse non sono sottotrame decorative: mostrano quanto sia complesso uscire da un sistema familiare violento, e come la vulnerabilità possa diventare un’esca perfetta per chi esercita potere.


La seconda riguarda il ruolo dell’autorità. Bilstein non è un criminale qualunque: è un tutore della legge. E Blood Star si inserisce nel solco di una produzione recente che non teme di problematizzare la figura del poliziotto, soprattutto nei contesti rurali dove la supervisione è minima e l’abuso può diventare quotidiano. 

La divisa di Bilstein è una maschera e, al tempo stesso, uno strumento: il film non indaga le cause del suo comportamento, ma lo rappresenta come una forma estrema di un potere che agisce senza contrappesi.

Infine, il film esplora il tema della sopravvivenza in un ambiente che è insieme fisico e psicologico. La strada, apparentemente aperta e liberatoria, si rivela un luogo di isolamento, dove non esiste aiuto immediato e ogni incontro può trasformarsi in minaccia. Il deserto diventa metafora del vuoto lasciato da un sistema familiare e sociale che non ha saputo proteggere Bobbie.

Il finale spiegato

La parte conclusiva del film di Rai 4 Blood Star spinge la tensione verso un territorio più brutale. Bobbie finisce catturata e la dinamica del film cambia: la fuga lascia spazio alla lotta a distanza ravvicinata. Le scene di tortura – contestate da una parte della critica – rappresentano l’apice della violenza di Bilstein e il punto di rottura di Bobbie.


Il finale si costruisce su un’alternanza tra lucidità e disperazione: Bobbie comprende che non esiste più possibilità di eludere lo scontro, e che sopravvivere implica affrontare direttamente il proprio persecutore. Nel momento decisivo è costretta a usare ciò che il film ha posto al centro del suo percorso: la capacità di leggere il comportamento del suo aggressore, di anticiparlo, di trovare spiragli dove lui vede solo dominio.


La conclusione non offre un trionfo liberatorio: Bobbie sopravvive, ma la sopravvivenza porta con sé una domanda sospesa. Non c’è la retorica della rinascita immediata; c’è piuttosto la consapevolezza che la violenza lascia segni duraturi e che l’uscita da un ciclo di abusi è un processo ancora aperto. Il film termina chiarendo che Bobbie ha spezzato la catena imposta da Bilstein, ma non quella – più invisibile e profonda – della sua storia personale. E proprio in questa ambiguità risiede la sua forza.

Un thriller che parla del presente

Blood Star utilizza i meccanismi del genere per interrogare una realtà ben più ampia del suo perimetro narrativo. La tensione, la corsa disperata, la minaccia costante non sono solo elementi di intrattenimento: servono a costruire un ritratto della vulnerabilità contemporanea, soprattutto femminile, in un contesto dove l’autorità non sempre garantisce protezione e spesso la mette perfino in discussione.


L’esordio di Jacomelli si muove nel solco dei grandi thriller stradali, ma aggiunge una dimensione emotiva e sociale che appartiene al nostro tempo. Non è un film che cerca risposte facili o catarsi rassicuranti: sceglie la complessità, lascia aperte ferite e interrogativi, e mostra quanto sia difficile distinguere chi protegge da chi predatoriamente si appropria del potere.


Nel suo viaggio attraverso il deserto, Bobbie non trova sicurezza, ma trova qualcosa di più essenziale: la possibilità di resistere, anche quando il mondo sembra votato contro di lei. È questo, più della corsa notturna o degli inseguimenti polverosi, a rendere Blood Star un thriller che continua a macinare nella nostra testa anche dopo i titoli di coda.

Autore

Redazione

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Filmografia

locandina Blood Star

Blood Star

Horror - Gran Bretagna, USA 2025 - durata 97’

Titolo originale: Blood Star

Regia: Lawrence Jacomelli

Con Britni Camacho, John Schwab, Wyomi Reed, Travis Lincoln Cox, Sydney Brumfield, Felix Merback

in TV: 27/11/2025 - Rai 4 - Ore 21.20

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