Deve correre parecchio il nuovo The Running Man di Edgar Wright. Non tanto per non perdere terreno rispetto a L’implacabile, il primo, liberissimo, adattamento dell’omonimo romanzo (in Italia L’uomo in fuga) di Stephen King, sotto l’alias Richard Bachman, realizzato negli anni 80 con Arnold Schwarzenegger, baracconesco carnevalone diventato (meritatamente?) piccolo cult d’epoca, ma piuttosto per non farsi superare a destra e a sinistra da tutto quel che è venuto dopo, anche prendendo da lì, tra Hunger Games, Squid Game, The Purge.

D’altronde, il medesimo j’accuse del romanzo del 1982 e del film del 1987 contro lo strapotere televisivo (peraltro ancora in epoca pre reality e factual) rischia di apparire oggi una battaglia di retroguardia. Meglio quindi tenerlo come sfondo, in un’America di spettatoriconsumatori sotto una dittatura mediatica e in una crisi economica senza fine, con i ricchi in enclave lussuose e linde e i poveri in slum sovrappopolati e malsani, portando in primo piano la parabola distopica di Ben Richards (Glen Powell, mascella e fisicaccio giusti), working class hero testa calda, con moglie e figlia cagionevole di salute, convinto dal mefistofelico produttore Killian (Josh Brolin, ghignante e impomatato come non mai) a partecipare al programma tv più seguito di tutti, The Running Man. Le regole dello show, sanguinoso ludo circense ed efficiente macchina della propaganda, sono pochissime e fanno la gioia di ogni bravo forcaiolo appena nascosto dietro il buon americano medio, sfottuto nei promo e nei programmi che intravediamo (come Americano, trashissimo docureality sui riccastri tipo Kardashian): restare in vita 30 giorni, braccati da una squadra della morte e con il rischio di essere denunciati da chiunque voglia intascare la taglia, in modo da ottenere un miliardo (in dollari con il faccione di Schwarzenegger, bel tocco).

Come il suo protagonista, anche Wright, dopo Ultima notte a Soho (2021), deve mettersi in gioco nella scivolosissima arena dei blockbuster hollywoodiani attuali, per ritagliarsi uno spazio d’azione e (ri)trovare un’identità. Intelligentemente, lavora sui margini e sui dettagli, oltre le impennate retoriche (che ci sono, e non poco), nell’affastellare figurine eccessive (il presentatore tutto paillettes Colman Domingo, l’hacker rivoluzionario in maschera, i concorrenti stereotipati carne da macello) e digressioni quasi dementi (Michael Cera agitatore antisistema e la sua casa ricolma di trappole, godibilissimo film nel film), nel manipolare segni e simboli (dai crocifissi a Che Guevara), nel mescolare satira, metafore politiche e action come in un Verhoeven americano anni 90 fino a un finale non chiarissimo. Insieme oltranzista e cauto, sincero e furbetto, un oggetto affascinante soprattutto in quel suo meticciato visivo (e sonoro!) più selvaggio, forsennato e fuori controllo della media, un po’ come l’onnipresente e onnipotente occhio del Network unico, che è ancora la vecchia tv, ma anche il web, i social, l’AI, i deepfake. Ce la fa The Running Man a vincere? Al pubblico del film, come a quello dello show, l’ultima (vera) parola.
Il film
The Running Man
Azione - Regno Unito, USA 2025 - durata 133’
Titolo originale: The Running Man
Regia: Edgar Wright
Con Glen Powell, Josh Brolin, Katy O'Brian, Lee Pace, Emilia Jones, William H. Macy
Al cinema: Uscita in Italia il 13/11/2025


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