Questo non sarà un articolo sui perché e i percome il format del Late Night Show non abbia mai attecchito davvero in Italia, perché in realtà quella è una faccenda molto semplice: due culture diverse, due fruizioni diverse della televisione e del televisore, due modi diversi di suddividere una giornata. Da noi (anche per ragioni di abitudini) ha più peso e senso il preserale, negli Stati Uniti la seconda serata. Da noi il Late Night non esiste. Ci si era buttato con successo Luttazzi, a modo suo, ed è stato respinto con perdite (anche se non dal pubblico); ci sono dentro Cattelan e Saverio Raimondo, copiando abbastanza paro paro il modus operandi rispettivamente di Jimmy Fallon e Stephen Colbert. Lo fa su YouTube Karim Musa, l’artista precedentemente noto come yotobi, ed è meraviglioso però in una sua nicchia ristretta. Insomma, come fanno anche pomposamente (ma neanche troppo) notare nella docuserie CNN The Story of Late Night (appena resa disponibile in Italia su Sky Documentaries): la formula del talk show comico di tarda serata nata all’inizio degli anni ‘50 è una forma d’arte prettamente - e, aggiungerei, perfettamente – statunitense. E solo negli Stati Uniti – terra della stand-up, delle big band e dello show business – può attirare l’interesse che attira, mentre altrove può essere riconosciuto come la rivoluzionaria forma d’intrattenimento che è, ma non può essere vissuto alla stessa maniera viscerale ed emotiva.

Innanzitutto perché il Late Night, fin dai suoi primi esempi, è uno spettacolo trasmesso dal vivo e legato alla quotidianità (andando in onda dal lunedì al venerdì). Il Tonight Starring Steve Allen è lo storico pioniere del genere. Trasmesso su NBC (lo stesso network che negli anni ‘70 lancerà Saturday Night Live) dal 1954, lo show ha già praticamente tutti gli elementi che ritroviamo ancora oggi nei Late Night: la scrivania, le ospitate di comici che fanno stand-up, gli sketch, la musica dal vivo, l’atmosfera colloquiale. Era uno show fatto in maniera raffazzonata, senza scaletta ma solo con un canovaccio che Allen era costretto a riempire improvvisando. La gente adora questo tipo di energia semi-anarchica e rilassata. Diventa di culto. Diventa di moda. Diventa cool, e negli Stati Uniti vince sempre la rule of cool. Ma il motivo per cui il suo show è così sciolto e sregolato è molto circostanziale, rivelando quanto i meccanismi dell’industria abbiano contribuito a modellare questo linguaggio. Il Late Night nasce come genere in un periodo in cui la programmazione finiva alle 23, ma il tempo è denaro; e il tempo perso senza programmi in cui inserire pubblicità è denaro perso; e al capitalismo non piace perdere denaro, dunque meglio convincere la gente che è il caso di guardare la tv anche a tarda notte. NBC è il primo fra i grandi network a investire (pochi soldi) in questo esperimento, scoprendo letteralmente una vena d’oro fino a quel momento rimasta intonsa e godendosi per quasi 15 anni un monopolio fondamentalmente esclusivo.

Dopo Allen tocca a Jack Paar prendere il testimone del Tonight. Paar è il conduttore che, per primo, introduce l’atmosfera da dialogo intimo e amichevole con lo spettatore, lo stesso mood che verrà sfruttato nei decenni successivi da tutti i suoi più celebri successori (David Letterman, Jay Leno, Conan ‘Brien). Nasce, anche nel Late Night, l’idea di dire agli spettatori: non mi presento a voi vestendo i panni di un personaggio costruito apposta per la tv, sono me stesso con tutti i miei difetti e come sono nella mia vita privata. Il format di Jack Paar affina quello di Allen (aggiungendo il monologo iniziale, il divano per gli ospiti, le tazze) e diventa la formula standard che ancora oggi rappresenta l’impalcatura dei Late Night.

E alla fine arriva Johnny, inteso come Carson, il conduttore che porta definitivamente il genere al grande pubblico. Per farvi capire: in Shining, la celeberrima scena in cui Jack Nicholson accetta una porta per quello che è – un pezzo di legno da polverizzare – il mirabile (sul serio) adattamento italiano opta per continuare sul solco del lupo cattivo, ma in originale Jack Nicholson dice “Here’s Johnny”, che per più di tre decenni è stato il modo in cui l’annunciatore Ed McMahon concludeva l’intro di ogni puntata dello show.

Questo è il livello di pervasività che il conduttore ha raggiunto nella cultura popolare statunitense. Carson, al contrario di Paar, è sempre stato molto più restio a condividere le proprie opinioni in tv. Anche perché il suo era praticamente un monopolio con un numero di spettatori vicino alla maggioranza bulgara, e bisognava evitare di alienarsi qualsivoglia fetta di pubblico. Con l’avvento dei movimenti del ‘68, però, le cose cambiano. Il distacco apolitico di Carson rischia di far diventare irrilevante il programma: bisogna trovare un modo per restare al passo con i tempi e l’approccio di Carson è un colpetto al cerchio e uno alla botte.

Nel frattempo, però, gli altri grandi network (in particolare CBS) entrano nel mercato dei Late Night. La competizione non intacca gli ascolti di Carson, anzi: con un’offerta della seconda serata più varia, Carson può permettersi di mantenere la sua identità cerchiobottista lasciando che le frange più radicali (tra virgolette) del pubblico televisivo si sfoghino con gli altri Late Night (e con Saturday Night Live). Il più grande contributo apportato dall’introduzione di una concorrenza, piuttosto, è la preparazione del terreno per una delle soap opere che più hanno appassionato il pubblico americano nell’epoca pre-reality: la cosiddetta guerra dei Late Night, ufficialmente iniziata con la lotta fra David Letterman e Jay Leno per la successione al trono dell’eterno Carson e trascinatasi per diversi lustri (coinvolgendo anche Conan O’Brien).

Negli anni ‘80 e ‘90, e anche nella prima parte degli anni 2000, il Late Night continua a essere estremamente rilevante nel panorama televisivo e culturale statunitense, anche con una nuova generazione di conduttori in sella e di spettatori sul divano. Oggi, il vero problema del genere è proprio ciò che per decenni ha rappresentato la sua forza: essere un formato monolitico, che già negli anni ‘60 aveva assunto la sua forma più o meno definitiva. Di questi tempi, quello del Late Night è diventato un linguaggio che – proprio come è successo a Carson nel ‘68 – rischia di perdere il treno dello zeitgeist e del cool. Vedremo cosa saprà inventarsi.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.

La serie tv

locandina The Story of Late Night

The Story of Late Night

Documentario - USA 2021 - durata 36’

Titolo originale: The Story of Late Night

Con Jimmy Fallon, Conan O'Brien, Kliph Nesteroff, Bill Carter, Whoopi Goldberg, Lorne Michaels

in streaming: su Sky Go