Prima di essere prematuramente cancellato dall’esistenza su internet per il titolo oggettivamente infelice, sappiate che è una traduzione solo appena appena fantasiosa del titolo scelto da Iliza Shlesinger stessa per il suo nuovo speciale su Netflix: Hot Forever, figa per sempre. E ci mancherebbe altro, aggiungerei. Ci mancherebbe che Shlesinger non si scelga il suo titolo, grazie e graziella, ma ci mancherebbe anche che la comica originaria di New York ma cresciuta in Texas non prosegua nel suo racconto autobiografico, ormai diventato un must del palinsesto di Netflix.

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Iliza Shlesinger: Hot Forever

Dal 2013 a oggi, infatti, siamo a quota sei speciali vergati da Shlesinger per il servizio di streaming. I primi quattro – War Paint, Freezing Hot, Confirmed Kills ed Elder Millennial – raccontavano il punto di vista di una generazione di giovani donne che hanno navigato il loro essere ventenni duranti gli anni ‘10 di nuovo millennio, ovvero di come siano riuscite a tollerare un mercato del lavoro simpatico, un mercato delle relazioni schizofrenico e la festa balorda che si è costretti a fare per sopportare i due elementi precedenti. Unveiled, il suo quinto speciale, si spostava fisiologicamente insieme alla biografia di Shlesinger, portando il racconto sull’esperienza di una millennial che trova il tempo e il modo di sposarsi solamente dopo aver scavallato i 35. Nel frattempo, la comica è anche riuscita a ritagliarsi uno sketch show tutto suo (The Iliza Shlesinger Sketch Show), a scrivere e interpretare una discreta (ma nulla più) commedia romantica sui generis ispirata a fatti che le sono realmente accaduti – Good on Paper, “Buono sulla carta”, una recensione istantanea inquietantemente precisa – e anche a esordire nel cinema che conta (più o meno) con un ruolo da co-protagonista in Spenser Confidential, valida tamarrata ignorante con Mark Wahlberg che interpreta il solito ruolo da Mark Wahlberg.

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Iliza Shlesinger: Hot Forever

Hot Forever, si diceva, prosegue nella parabola di aneddotica personale dei cinque precedenti speciali. La differenza, questa volta, è la nascita della primogenita di Shlesinger. In quanto comica molto più a suo agio nella creazione di scenari narrativi che nell’elenco di battute, Shlesinger trova comunque il tempo per tornare ai suoi cavalli di battaglia: essere una finta giovane che è sempre sul pezzo, ed essere una donna che parla senza peli sulla lingua di sesso, funzioni corporali e istinti più triviali. Non depone molto a favore della nostra condizione culturale ed educativa come collettività, ma a quanto pare una donna che dice cacca pupù vagina e buco di culo fa ancora molto ridere (a priori) un sacco di gente, ed è catarticamente liberatoria per tutte le donne presenti in sala alla registrazione dello speciale (a giudicare dai decibel delle reazioni). Va bene così, per carità; ma solo perché Shlesinger usa questa base facilona per coinvolgere lo spettatore e tenerlo inchiodato alla fase successiva del monologo, decisamente più significativa.

Shlesinger esordisce dimostrando lungamente la propria conoscenza dei balletti su TikTok. Argomento topico e facile, per l’appunto. Quindi si butta subito sugli archetipi del sempiterno Donne vs Uomini e di come si scopi prima e dopo i 30 anni. Reazione facile per la donna attraente che parla in maniera sboccata, per l’appunto. Poi, da un lunga punchline sugli ani a vista degli ometti che sono molto entusiasti per il fatto che stanno per fare sesso, si passa improvvisamente (e un po’ inspiegabilmente, ma si può anche accettare il mistero) alle gravidanze non volute e al diritto all’aborto. E a questo punto il discorso rimane concentrato su argomenti meno puntati sulla piaggeria, e più legati all’esperienza personale di Shlesinger; sempre pencolando, con grande senso del ritmo e del climax narrativo, tra il serio e il faceto. Shlesinger racconta di come la maternità abbia cambiato il suo corpo, o di come una delle cose più importanti per una donna sia avere un brutto reggiseno preferito con cui avere una pluriennale connessione speciale. E più grandi sono le tette, più brutti sono i reggiseni brutti; i quali hanno un solo colore possibile: grigio beige, gradazione sudaticcio. Quindi parla di bralette, con la consapevolezza che il 99% degli uomini non capirà – se non vagamente, il tema generale è la brassiere e come essa sia fondamentalmente impedita alle donne con un seno importante – e con la soddisfazione di non far capire ai maschi di cosa si sta parlando per poter spiegare e raddoppiare così l’effetto comico. C’è la battuta in sé, colta da tutte le donne fra il pubblico. E c’è l’ironico womansplaining della battuta a favore degli uomini confusi. C’è un’energia piuttosto liberatoria agli spettacoli di Shlesinger, nonostante le sue battute non siano particolarmente rivoluzionarie. Gioca con le fragilità maschili (nelle loro accezioni stereotipiche), ma non si risparmia nemmeno con gli archetipi femminili. A un certo punto riesce addirittura ad ammettere che la colpa per una vacanza con il marito non troppo riuscita è stata tutta sua. Pazzesco.

Shlesinger parla delle aspettative che subiscono e si creano le donne (spinte da automatismi sistemici e radicati in millenni di patriarcato). Della pressione, della difficoltà di dover essere sempre perfette e di sentirsi costantemente giudicate, dagli altri e da sé stesse. Una donna non può essere competitiva, altrimenti viene additata come invidiosa. Mette in battuta la complessità femminile, sviscera l’autocommiserazione. Ed è qui che lo spettacolo prende un’altra piega, inaspettata. Quella della concione. Shlesinger è molto affilata quando descrive di come il sistema abbia rubato certo vernacolo codificato (quello della scena drag statunitense) e l’abbia riproposto alle donne come simbolo di indipendenza e femminismo. Quindi, e infine, fa del darwinismo sugli incel, ed è un momento piuttosto soddisfacente. Dice che gli uomini non hanno bisogno di essere merde per attrarre le donne. Basta poco. Basta avere una passione. A volte basta solo essere alti.

Paradossalmente, Hot Forever smette di essere pedante e banale proprio nel momento in cui Shlesinger sale in cattedra; quando comincia a predicare il buonsenso innervandolo di umorismo, ma senza diminuire la portata del suo discorso (sul corpo femminile, sulle aspettative, sui limiti). E lo spettacolo si chiude, coerentemente e in maniera azzeccata, con un’onesta ode alla vagina e a tutti i suoi poteri da micro bioma.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.