Ho tre domande tassative che purtroppo sono banali, ma di solito anche dense di soddisfazioni: Quali sono i tuoi riferimenti comici, sia italiani sia di stand-up straniera, e quali sono i colleghi che ti hanno fatto davvero voglia di intraprendere questa carriera?

Probabilmente suonerà un po’ contorto, ma all’interno della stand up a me sono sempre piaciuti i comici che più si allontanavano dal concetto classico di questo tipo di genere. Quando arrivarono i primi monologhi sottotitolati dai fan tutti impazzivano per Bill Hicks e George Carlin a livelli che sfioravano quasi il fanatismo – in parte a ragione perché sono assolutamente considerati tra i maestri più rappresentativi di questo tipo di comicità – però quelli da cui sono rimasto folgorato e con cui sono riuscito a empatizzare maggiormente sono stati Steven Wright ed Emo Philips.

Steven Wright - oltre a una somiglianza nella flemma e nell’approccio alla vita che me l’ha subito fatto sentire vicino - perché ti portava in un suo mondo estraniante che era molto più interessante della realtà di cui parlavano tutti gli altri e mi ha fatto capire che una battuta ben scritta può essere qualcosa che ha una sua estetica che la rende molto simile a una poesia, col vantaggio che è più immediata e che anche quando è triste fa ridere.
Emo Philips per motivi molto simili, è altrettanto estraniante e con delle battute incredibili ma con una vena un po’ più morbosa, sadica e poco rassicurante e che per questo me lo ha fatto sentie molto vicino.

Anche se la folgorazione definitiva c’è stata con Edward Aczel, un comico inglese non molto conosciuto di cui riuscii a vedere un video di soli 5 minuti ma che bastarono a farmi dire “Questa cosa la voglio fare anch’io”. C’era questo comico in una sala piccolissima che cominciava lo spettacolo dicendo di essere impreparato, che stava venendo filmato ma solo perché serviva agli operatori per imparare a usare la telecamera, e poi a un certo punto tirava fuori un grafico in cui analizzava come stesse andando il suo spettacolo: fin lì si era riso abbastanza, poi era previsto un drastico calo dell’attenzione e poi verso il finale si sarebbe un po’ ripreso il tutto. Una cosa incredibile, infatti il primo pezzo che ho scritto era molto ispirato a lui.

E poi adesso il mio punto di riferimento massimo è Stewart Lee, un comico che sfugge a ogni tipo di catalogazione al punto che provare ad appiccicargliene una non gli renderebbe giustizia. Ci provo giusto perché se vi dico solo ‘andatevelo a vedere’ temo non possa essere abbastanza, perché se non si è vista abbastanza stand up anche capirlo non è immediato. Diciamo che prima ancora che essere un comico è un intellettuale che senza che te ne accorgi riesce a fare un pezzo di satira politica mentre allo stesso momento demolisce tutti i meccanismi umoristici che rendono quel pezzo comico, quindi ti ritrovi a ridere ma non riesci a capire come fa a reggersi tutto perfettamente in equilibrio. Come se un mago ti svelasse un trucco di magia mentre ti fa sparire il pavimento da sotto i piedi e tu non riesci a spiegarti come mai in quel momento stai volando.


In che modo hai spiegato il mestiere che fai non tanto a tua mamma, quanto a quell’amica di tua mamma che conosci da tutta una vita e non si vergogna a fare le domande che scottano (“Ma Comedy Central te lo fa l’indeterminato? Ma vai al lavoro vestito così? Ma con la laurea cosa ci fai?” e via discorrendo)?

Non parlo spesso con le amiche di mia madre, al massimo mi capita coi medici perché sono ipocondriaco e quando devo fare i prelievi per distrarmi iniziano a parlare e mi chiedono che lavoro faccio. Allora dico ‘il comico’ e loro mi dicono ‘davvero? non sembri divertente’ e io dico ‘eh, perché ho paura in questo momento’ e allora incalzano ‘ma dove lavori? Nei teatri?’ ‘eh sì, in giro. Magari se mi cerca su Youtube trova qualcosa’ ‘mi faccia una battuta’ ‘ma no così non viene bene’ ‘a me piace Checco Zalone’ ‘sì è bravo’. Poi finisce il prelievo, mi fanno stendere per vedere se mi gira la testa mentre tornano a fare le loro cose e non mi parlano più, perciò capisco che non erano veramente interessati ma era tutto un piano per distrarmi dal fatto che stessero prelevando del sangue dal mio corpo. Quindi di solito un po’ infastidito mi alzo, saluto ed esco, poi faccio due passi in corridoio e poi svengo.

Ti dà più soddisfazione scrivere o esibirti?

Scrivere mi rilassa quando non ho scadenze, mi permette di viaggiare con la mente ma c’è il rischio che dopo giorni di lavoro c’è solo mezza cosa bella. Se invece ho una scadenza la vivo malissimo però forse produco di più. In entrambi i casi se dopo 8 ore di lavoro c’è almeno una cosa ok posso dirmi soddisfatto.

Esibirmi con delle battute nuove che funzionano dà parecchia soddisfazione ma solo le prime volte che lo fai, poi ti abitui e hai bisogno di battute sempre più nuove che non sempre riesci a trovare. Penso funzioni in maniera simile alla droga, ma almeno scrivendo e basta risparmi i soldi.


Sei stato fra i primi a portare in Italia la stand-up comedy, e immagino tu abbia già interagito con persone più giovani che hanno appena iniziato e hanno la strada leggermente più spianata rispetto al salto nel vuoto che hai fatto tu. Ti senti un po’ lo jedi di questi giovani padawan? Esiste anche in Italia quel senso di clan/comunità fra comici che fanno stand-up?

C’è parecchia collaborazione perché bene o male ci conosciamo tutti e abbiamo capito sin da subito che unendo le forze avremmo tratto più benefici che facendoci la guerra. Io stesso ho cominciato ad esibirmi in delle serate organizzate da Saverio Raimondo, Francesco De Carlo ed Edoardo Ferrario, che assieme agli altri di Satiriasi hanno posto le basi per una nuova scena comica in Italia. Poi la nostra generazione ha ulteriormente espanso il mercato creando nuove realtà dove comici più e meno esperti hanno avuto modo di esibirsi e crescere, e a loro volta hanno poi creato ulteriori spazi in tutta Italia dove abbiamo finito per esibirci anche noi. Fortunatamente è un lavoro in cui se una persona ha successo di riflesso ce l’hanno anche tutti gli altri.

Sei uno dei pochi che può rispondere per esperienza diretta a questa curiosità: quanto è diversa la scena stand-up in giro per il mondo rispetto all’Italia?

In paesi come Regno Unito e Irlanda è ovviamente più sviluppata, ci sono decine di serate open mic ogni giorno oltre a circuiti più prestigiosi dove si esibiscono i comici professionisti. In città come Berlino o Amsterdam c’è una buona scena di comicità in lingua inglese in a cui partecipano anche i comici autoctoni, sia perché lì quasi tutti lo capiscono, sia perché il mercato di parlanti inglesi è potenzialmente molto più ampio, le serate sono sempre piene e in generale c’è più possibilità di avere successo a livello internazionale (e meno concorrenza locale). In paesi neolatini tipo la Spagna (ma anche in Italia) la scena inglese è molto più ridotta, però da quel che so c’è parecchio fermento per quanto riguarda la scena locale, tant’è che in Francia è uscita una serie prodotta da Netflix su degli stand up comedian alle prime armi.

In Turchia è appena arrivata e devi anche stare attento a quel che dici. In Giappone invece la scena è piccolissima ed è solo in inglese, perché è un genere molto poco compatibile col loro tipo di umorismo classico.


Anche se non è una domanda strettamente legata a te, potresti raccontare l’impatto che sta avendo The Comedy Club sulla diffusione di un certo tipo di cultura della comicità dal vivo in Italia? E ti chiedo anche di scatenarti sull’impatto che invece, già da qualche anno, sta avendo la programmazione di Comedy Central.

Per The Comedy Club vale il discorso che facevo sulla collaborazione, anche loro hanno capito che c’è parecchio interesse e quindi vale la pena investire per creare rassegne e contenuti video di qualità in modo tale che il pubblico si espanda, si affezioni e sia invogliato a tornare. Comedy Central è stata la rete che per prima ha fatto qualcosa di semplice ma paradossalmente rivoluzionario per chi fa questo mestiere: prendere dei monologhisti e fargli fare un monologo. Incredibile, eh? Sembra assurdo, ma oggi se ti contattano per fare televisione la domanda che ti fanno è “Cosa possiamo farti fare” al che ti verrebbe da rispondere “Sono un monologhista, fammi fare un monologo” per poi sentirti dire “Eh no, in TV non funziona. Bisogna trovare un espediente per fare in modo che il monologo non sembri un monologo”. Ma di questo magari parliamo nella domanda successiva.


Volevo farti una domanda su quello che pensi della tv italiana, ma poi ho letto Marco Travaglio Zombi. Adesso sogno che tu ne tragga una serie tv prodotta da Rai Movie. Senza metterti nei guai – e tenendo conto che la domanda parte da un presupposto ottimista, grazie all’esistenza di Battute? e di Una pezza di Lundini – quanta speranza nutri nel rapporto fra tv generalista italiana e stand-up?

Come dicevo poc’anzi, dalla mia esperienza l’impressione è che non ci sia molta fiducia nella stand up nella tv generalista. Forse c’è un po’ più di attenzione alla comicità, ma anche i programmi da te citati sono stati relegati in terza serata e in orari sempre ballerini che mettevano in difficoltà anche lo spettatore più affezionato. Purtroppo vale ancora la logica vetusta dell’Auditel e anche in casi di successi più unici che rari come quello di Lundini non c’è lungimiranza nel valorizzare un artista che se ben sfruttato potrebbe addirittura generare dei guadagni, oltre a intrattenimento di qualità. Però sicuramente rispetto a 5 anni fa sono stati fatti passi da gigante, quindi restiamo ottimisti.


E adesso una domanda ancora più scivolosa: quale sarà il rapporto tra la vostra generazione di comici stand-up e il cinema italiano?

Un tempo era la conclusione quasi logica del percorso di un comico se non fosse che ultimamente, come la tv, anche il cinema italiano è in crisi. Quindi non saprei, è linguaggio che sembra impegnativo ma sarebbe bello se la nostra generazione finisse per arrivarci con un prodotto comico. Io comunque finora mi sono esibito in dei cinema almeno due volte.


Chi è il tuo comico stand-up italiano preferito?

Per quel principio secondo cui i comici che più mi fanno ridere sono quelli meno stand up, ti direi Valerio Lundini e Alessandro Gori, ma appunto non fanno stand up. Quindi forse ti direi Francesco De Carlo.

Di regola, a Film Tv concludiamo le chiacchierate chiedendo all’intervistato qual è il suo film della vita. Qual è il tuo film della vita? E per non farci mancare niente: qual è lo speciale di stand-up della tua vita?

Sul film della vita ho sempre avuto difficoltà nel rispondere. La prima cosa che mi viene in mente è Brian di Nazareth dei Monty Python, per l’impatto di idee surreali e satira esistenziale che ha avuto nella mia mente di adolescente quando lo vidi per la prima volta.

Special della vita: If you prefer a milder comedian please ask for one di Stewart Lee.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.