La mia è un’ossessione malsana, lo so. Per quello l’ho usata come titolo. E mi piacerebbe molto si trattasse di una mania per i film di Mira Nair o per la bibliografia di Gogol; farei figure migliori agli aperitivi a cui non vado, se pontificassi sui sette collegamenti più interessanti fra Salaam Bombay! e i Racconti di Pietroburgo trasformandomi nel redattore di liste di BuzzFeed preferito da Elly Schlein. Purtroppo, invece, la mia ossessione riguarda i nomi buffi. Non i nomi italiani che suonano buffi perché sono desueti, tipo Abbondanzio, Aza, Berengario, Cremenzio, Evodio, Ghita, Lidania, Manetto, Maruta o Zosima; e nemmeno quelle accoppiate nome e cognome che ti fanno tantissimo ridere quando hai sette anni, tipo i fratelli Dina e Dario Lampa o il signor Guido Collauto, e che oggi, da adulto, servono solo a ricordarti con mestizia che alcune persone non saranno mai pronte per la responsabilità genitoriale. La mia ossessione vera, invece, sono i nomi stranieri che alle mie orecchie di italiano caprone suonano bislacchi per motivi che non hanno senso di esistere, visto che sono, per l’appunto, nomi stranieri. Per questa ragione la grande sound editor francese Manon Serve rimarrà per sempre nel mio cuore. Potrei ri-spiegarvi nello specifico il motivo, Ma (indovinate un po’) non Serve. Ed è a causa di questa mia ossessione che oggi mi chiedo: con un nome di battesimo come Theodor Capitani von Kurnatowski III, una persona ha davvero la possibilità di accedere a qualsiasi altra carriera che non sia quella di comico?

Che poi, detta così, la faccenda è ancora troppo ambigua. Per quanto ne sappiamo, Theodor Capitani von Kurnatowski III potrebbe benissimo essere il nome dell’ufficiale prussiano che Bismarck utilizzava come fermacarte. Il fatto è che Theo Von, agile nome d’arte che il nostro si è scelto per non farsi rimbalzare dall’ingrato mondo dello show business, è mezzo nicaraguense e mezzo polacco e sui documenti d’identità ha preso i cognomi di entrambi i genitori. Se state giustamente pensando che “Capitani” sia il cognome nicaraguense e “von Kurnatowski III” sia quello polacco beh, vi sbagliate di grosso. Ed è proprio questa incongruenza assolutamente psichedelica, e così intrinsecamente comica, a farmi ululare di gioia e a farmi dire che no: Theodor Capitani von Kurnatowski III, in arte Theon Von, e il suo mullet da “lesbica più tosta in circolazione”, nella vita non avrebbero potuto fare altro che i comici.

Nato e cresciuto nella poco sfarzosa Louisiana lontana da New Orleans, Von (classe 1980) ha mosso i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo coerentemente con la sua anagrafe: facendo il guitto in quella serie di reality show delle origini che MTV America sfornava con fin troppa generosità a cavallo fra anni 90 e 2000. Con qualche soldo in tasca in più, Von si è trasferito a Los Angeles e ha cominciato la sua carriera come stand-up comedian, senza tralasciare l’obbligatoria trafila della gavetta in locali rigorosamente fumosi e scovando la sua personale miniera d’oro nel nascente panorama dei podcast comici. Il suo primo esperimento risale al 2011 e ancora oggi, con il suo This Past Weekend, rimane tra i più attivi e i più celebri negli Stati Uniti in quel mercato.

La voce comica di Von è di quelle colloquiali e ruspanti che riescono a mascherare la tecnica dietro a un paravento che ti fa pensare: ce l’ho anch’io uno zio matto e giovanile, che quando la famiglia si ritrova per un battesimo passa la giornata a raccontare le barzellette sporche e a dire cose esilaranti che sul sagrato di una chiesa – ma anche al ristorante e poi a casa della nonna – non si potrebbero dire. La forza comica di Von, a partire dal look anacronistico da campagnolo a cui manca solo la salopette e la spiga di grano in bocca, sta proprio nel fatto di essere uno di noi, una persona come le altre (come il titolo del suo secondo speciale su Netflix Regular People) che spinto dal destino nel nome si è preso in carico il compito di farci ridere dicendo le cose che non andrebbero dette. La differenza con lo zio matto, però, è che Von è un comico professionista e le cose che non andrebbero dette è in grado di dirle nel modo giusto. C’è modo e modo per scherzare sull’omosessualità, per esempio. Usare la premessa trita, ritrita e, pericolosa e pericolante “Ci sono molti più gay oggi in circolazione” e concluderla con la punchline “Conosco più persone gay che persone che sanno giocolare” [ribadita, qualche momento più tardi, da “Tutti vanno protetti. Tutti hanno delle palle in mano”] è uno dei modi giusti.

In Regular People Von affronta di petto tutti quegli argomenti che, nel clima attuale statunitense e oltre, sono a rischio cancellazione. Lo fa senza timore di essere etichettato come reazionario e riuscendo sempre ad atterrare in piedi e intatto, ergendosi a portavoce di un’America diversa da quella che siamo abituati ad ascoltare. Per esempio, il lungo bit sulle etnie e sulla prima persona messicana che Von abbia mai incontrato in vita sua (quando era già alle medie) è il pretesto per descrivere quegli Stati Uniti rurali in cui non esiste la diversità urbana che invece si trova nelle grandi città. Non è che tutti tutti gli statunitensi che vengono dalla provincia siano bifolchi, ignoranti, razzisti, omofobi e sessisti. A volte sono solo bifolchi ignoranti sessisti che non hanno mai conosciuto una singola persona diversa da loro perché quelle persone, in Culonia, Tennessee, non ci arrivano.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.