Sin dal suo esordio, Scott Cooper ha dato prova di una notevole affinità sentimentale con il mondo della musica statunitense. Crazy Heart, ispirato alla vita del cantautore country Hank Thompson, interpretato e cantato da Jeff Bridges, e poi dedicato a Stephen Bruton, non era un esordio come un altro: era una vera e propria dichiarazione d’intenti. Cooper è un esemplare raro, un cineasta la cui matrice sembra caduta in disuso: in bilico, cioè, fra professionalismo, manierismo e autentici lampi d’ispirazione, come orfano di quel cinema che si faceva negli anni 70 fra New Hollywood e mainstream, prima della restaurazione degli anni 80. Oggi, paradossalmente, rischia di apparire un “autore” (e, sinceramente, non sarebbe neanche un male).

Nel mettere mano al libro di Warren Zanes, che documenta con precisione i postumi dello straordinario successo di The River e l’emergere dei primi segni di un’inquietante depressione, il regista circoscrive, con grande e sensibile diligenza, un momento di intensa creatività: i brani di Nebraska e Born in the U.S.A. che sgorgano quasi contemporaneamente e l’insoddisfazione nonché la diffidenza nei confronti di un successo vissuto quasi come un tradimento nei confronti delle origini. L’interpretazione tutta interiorizzata di Jeremy Allen White, che si tiene in equilibrio lungo un registro teso fra vulnerabilità, risentimento e frustrazione, permette di cogliere lati della persona di Springsteen che le dimensioni oceaniche dei suoi concerti in parte occultano allo sguardo. Cooper, alla stregua di un Hal Ashby, resta concentrato sul suo interprete, permettendo solo al magnifico Jeremy Strong (che interpreta da par suo Jon Landau) di penetrare nel perimetro di White creando un vincolo di singolare tensione affettiva.

Cooper, consapevole della eccezionale potenza mitopoietica di Springsteen e della devozione totalizzante dei suoi fan, riesce mirabilmente nell’impresa di privare il protagonista di inutili tocchi glamour, riuscendo, soprattutto nelle interazioni con Mike Batlan (il sempre eccellente Paul Walter Hauser), a farne un autentico working class hero. Ed è proprio questa inconsueta e alta “medietà”, nobilissima (che s’incrina solo quando il regista tenta di piegarla ad artifici retorici: le fiamme, i ralenti...), che fa di Cooper un cineasta da ammirare. Un’umiltà professionale che una volta apparteneva, appunto, a un Ashby o, in passato, a un Curtiz, a un Hathaway e che oggi ricorda, da sola, un cinema che non esiste più. Basterebbe osservare l’accuratezza della composizione del quadro, la modalità con la quale il montaggio lavora dall’interno gli umori del protagonista intrecciandolo con l’ambiente (la cura dei momenti nello studio di registrazione) e, soprattutto, la tenerezza (come altro definirla?) degli scambi (telefonici e non) fra Strong e White. Di fronte a una tale densità narrativa ed emotiva, che si tratti di un momento della vita di Springsteen o meno, quasi non conta più. E invece si tratta proprio di Springsteen.
Il film
Springsteen - Liberami dal nulla
Biografico - USA 2025 - durata 120’
Titolo originale: Springsteen: Deliver Me From Nowhere
Regia: Scott Cooper
Con Jeremy Allen White, Jeremy Strong, Paul Walter Hauser, Stephen Graham, David Krumholtz, Gaby Hoffmann
Al cinema: Uscita in Italia il 23/10/2025
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