Era il 5 settembre del 1929. Il regista Josef von Sternberg era a Berlino. Mancavano 5 settimane all’inizio delle riprese del suo prossimo film. Il budget era deciso, lo script - più volte modificato - era pronto: anche il titolo del film - che prima avrebbe dovuto essere Professor Unrat, come la novella di Heinrich Mann (fratello di Thomas) da cui era tratto, - era stato cambiato in The Blue Angel: L’angelo azzurro, dal nome del cabaret dove si svolge parte della storia.

Chi mancava ancora però era l’attrice che avrebbe dovuto recitare al fianco di Emil Jannings, che aveva appena vinto il primo Oscar mai dato al miglior attore protagonista: una star nel suo periodo migliore. 

Von Sternberg entrò in un teatro. Quando si alzò, alla fine dello spettacolo, gli era tutto chiaro

Von Sternberg entrò in un teatro. Davano il musical Zwei Krawatten, dove recitavano due attori già selezionati per il film. Il regista sedette nei posti centrali, ben avanti. Quando si alzò, alla fine dello spettacolo, gli era tutto chiaro. Andò nei camerini e disse alla ragazza che interpretava Mabel, un ruolo minore, di contattarlo immediatamente il giorno dopo.

La ragazza era Marlene Dietrich, aveva 28 anni. La sua vita sarebbe cambiata per sempre. E l’anno seguente sarebbe arrivata a New York, lasciando la Germania, diventando un mito. 

La leggenda, la storia

Come racconta John Baxter nella sua monografia dedicata a Von Sternberg, la storia dell’incontro tra il regista e Marlene Dietrich venne raccontata in modi diversi: da Von Sternberg, dalla Dietrich stessa, da alcuni testimoni. Può darsi che quando si recò a teatro il regista avesse già lei in mente, può darsi che l’avesse già vista, forse solo in foto. Fatto sta che quello fu l’inizio della carriera della Dietrich, il cui vero nome era Maria Magdalene. La ragazza berlinese era di buona famiglia, aveva studiato violino e aveva cominciato ad avere qualche piccola parte in spettacoli teatrali, ottenendo anche alcune particine al cinema. Nel 1929 era già sposata da sei anni con Rudolf Sieber, da cui aveva avuto nel 1924 quella che resterà la sua unica figlia, Maria Riva. 

L’angelo azzurro (1930), girato sia in tedesco sia in inglese, fu un grande successo. Lola Lola, il personaggio della Dietrich,  aveva stregato il pubblico americano con la suggestione di una sessualità e di una femminilità “europee”, diverse, libere. Scandalose, forse, ma estremamente seducenti. Ma prima ancora che il film fosse terminato i produttori della Paramount avevano visionato un pre montato e offerto alla Dietrich di girare immediatamente un secondo film in America, sempre con la regia di Von Sternberg, Marocco (1930) con Gary Cooper, primo dei sei film che la coppia formata dal regista e dall’attrice avrebbero girato sempre per la Paramount, nel periodo compreso tra il 1930 e il 1935. 

Gary Cooper, Marlene Dietrich
Marocco (1930) Gary Cooper, Marlene Dietrich

Il sodalizio con Von Sternberg 

Il film fu un grande successo - si ricordano la Dietrich in un frac maschile e un bacio saffico, immagini estremamente provocanti per l’epoca - e così pure lo fu il seguente Disonorata (1931). Il sodalizio tra il regista austriaco e l’attrice tedesca - che ebbe anche risvolti sentimentali (la Dietrich aveva abbandonato in Germania marito e figlia) - regalò altri film oggi considerati iconici ed è difficile stabilire quanto sia dovuto alle capacita del regista e quanto al fascino dell’attrice. Il loro resta però ancora oggi uno dei legami professionali (e non) più intensi e proficui della storia del cinema. Tuttavia il successo di pubblico comincio a incrinarsi nei titoli successivi. Venere bionda (1932) ebbe risultati tiepidi e così pure Il cantico dei cantici (1933). Ma poi il costosissimo L’imperatrice Caterina (1934) e Capriccio spagnolo (1935) furono dei flop clamorosi, che quasi mandarono in rosso i bilanci della Paramount. Il sodalizio era arrivato al suo termine.  

Marlene, eterna diva

I film girati con Von Sternberg furono a tutti gli effetti i migliori della Dietrich, la cui carriera cominciò ad avere una serie di alti e bassi. Non che non sarebbero venuti altri titoli memorabili, diretti da registi memorabili e al fianco di attori altrettanto famosi, ma la costruzione del mito si era compiuta, lì, in quegli anni. Del resto non si può dire che lei sia stata una delle più grandi attrici, né che fosse una cantante eccezionale (per quanto negli anni a venire il canto avrebbe sempre avuto una parte importante dei suoi spettacoli nei teatri di tutto il mondo), ma era la Dietrich e come lei non c’era nessuno: un corpo scenico unico, circondato da un’aura ineffabile, sostenuta da un divismo spietato, da un’autostima considerevole e da un’immagine pubblica da femme fatale circondata da un erotismo enigmatico, peccaminoso e algido al tempo stesso. Non aveva bisogno di costruirsi un’immagine, di inventarsi o reinventarsi: lei era quell’immagine, la incarnava.

Quando Marlene Dietrich disse no a Hitler

Nella seconda metà degli anni ‘30, nonostante alcuni titoli minori o comunque dimenticabili in ruoli romantici, seguiti da alcuni western, la sua fama si riverberava tanto negli USA quanto in Europa. Con un’eccezione: la Germania. Erano gli anni immediatamente precedenti la guerra e il nazismo aveva già mostrato in pieno il suo volto. Hitler voleva a ogni costo che l’attrice tedesca diventata diva nel mondo tornasse in patria, ma lei rifiutò con fermezza. Di conseguenza i suoi film vennero banditi in Germania. In seguito, insieme al regista Billy Wilder, avrebbe istituito un fondo destinato ad aiutare molti ebrei tedeschi a fuggire e trovare rifugio negli Stati Uniti.

La sua determinazione nell’opporsi al nazismo la rese molto attiva negli spettacoli di sostegno alle truppe americane, presso le quali era estremamente popolare. Io e i tedeschi non parliamo più la stessa lingua, ebbe a dire. E nel 1943 prese la nazionalità americana. 
Sarà per questa radicale scelta di campo, sarà per la popolarità acquisita, la Dietrich divenne una figura centrale della propaganda alleata in chiave anti-nazista.

Nel dopoguerra riprese a girare con molta intermittenza. Gli studios non avevano smesso di amarla, ma lei aveva smesso di amare loro. Fino al 1961, alternò presenze sullo schermo a lunghe e anche lunghissime pause, come quella di 4 anni tra Rancho Notorius (1952) e Il giro del mondo in 80 giorni (1956), seguita poco dopo da una di durata analoga tra Testimone d’accusa (1957) e Vincitori e vinti (1961), l’ultima sua pellicola, eccezion fatta per una rapida apparizione nel 1978 nell’assai modesto Gigolò.

Non ho mai amato fare film

Questo progressivo abbandono dei set a partire dagli anni ‘50 non fu coincise affatto con il suo ritiro dalle scene. Anzi. Lei che aveva più volte lasciato comprendere come non amasse girare film, poté finalmente dedicarsi a ciò preferiva: calcare le scene dei teatri di tutto il mondo portando in giro lo spettacolo di se stessa, uno show - che contò molto all’inizio sulla presenza di Burt Bacharach come direttore musicale - fatto di monologhi alternati a canzoni e pienamente centrato sulla sua carriera e sulla sua figura. 

Gli ultimi anni

La salute di Marlene Dietrich andò però man mano creandole dei problemi. Verso la fine degli anni ‘60 girare il mondo cominciò per lei a farsi più complicato e nel 1975, dopo una caduta che le costò la rottura del femore, fu costretta a ritirarsi nella sua casa a Parigi, trascorrendo praticamente a letto gli ultimi 13 anni della sua vita, fino alla morte.

Tutti i film di Marlene Dietrich

Filmografia

locandina L'angelo azzurro

L'angelo azzurro

Drammatico - Germania 1930 - durata 107’

Titolo originale: Der Blaue Engel

Regia: Josef Von Sternberg

Con Marlene Dietrich, Emil Jannings, Kurt Gerron, Hans Albers, Rosa Valetti, Reinhold Bernt

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