Ci sono nomi che sono piccole opere d’arte. Mary Leta Dorothy Slaton non dice molto, ammettiamolo. Dorothy Lamour era invece tutt’altra cosa. Tuttavia quell’esotismo francese e allusivo - nato dalla storpiatura del cognome del secondo marito della madre, che si chiamava Lambour - aveva qualcosa di squisitamente cheesy, come dicono in inglese: kitsch. Un nome da ballerina di fila nell’avanspettacolo, o da cantante.

E infatti quello era il sogno di Dorothy, non puntava in alto. Era figlia di due camerieri, di sangue molto misto. E quando aveva 14 anni, dopo aver lasciato la scuola, il suo destino non sembrava muovere in direzioni diverse da quelle dei suoi genitori. Ma era bella, molto bella. E anche se a 16 anni manovrava l’ascensore in uno store di Chicago, nel tempo libero partecipava ai concorsi di bellezza, e alle audizioni. Funzionò. Il trombettista e direttore d’orchestra Herbie Kay la vide a un talent show e ne restò folgorato: nel 1935 lei lo aveva già sposato ed era in tour con lui. Ma le sirene di Hollywood la chiamavano. Partecipò a un provino a Hollywood proprio l’anno dopo, alla Paramount, e la presero subito. E già al suo secondo film, La figlia della jungla (1936), ebbe la parte della protagonista. Il film - uno sdolcinato film esotico e sentimentale dove Dorothy interpretava Ulah, una sorta di Tarzan al femminile - andò bene, ma rappresentò un precedente, che venne poi ribadito da Uragano (1937), di John Ford. Da quel momento Dorothy Lamour si ritrovò “incastrata” in ruoli cosiddetti “sarong” (dal nome della veste tradizionale indossata dalle donne un po’ in tutto il Sud-est asiatico.  Tra l’altro il sarong che era stato fatto per lei per La figlia della jungla fu il primo successo della costumista Edith Head, (destinata a vincere ben otto Oscar... ma questa è un’altra storia). Per fortuna fu proprio in un “sarong film”. La danzatrice di Singapore (1940) che Dorothy Lamour si ritrovò a recitare a fianco di Bing Crosby e Bob Hope, iniziando con loro una collaborazione seriale (i cosiddetti film “The Road to...” , dal loro titolo originale che prevedeva ogni volta una località diversa). Un’esperienza che sarebbe durata fino agli anni ‘60 e che le avrebbe permesso anche di utilizzare sullo schermo le sue doti di cantante. 

 

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