Quando era bambino (e poverissimo)  lo sfottevano, come capitava a tutti gli italiani emigrati. Lo chiamavano petit macaroni. E lui, Angiolino (il suo vero nome) ne soffriva. Oggi nel nono arrondissment di Parigi, dove abitava, c’è una piazza che porta il suo nome: Place Lino Ventura. A testimonianza dell’amore smodato per quell’attore dalla faccia dura (e dal cuore limpido) che salì sul podio del successo sin dalla sua interpretazione, in Grisbi (1954), a fianco di Jean Gabin, che fu per lui da allora un maestro e quasi un padre (il suo lo aveva abbandonato insieme alla madre quando aveva solo 7 anni).

Eppure non prese mai la cittadinanza francese: restò sempre “l’italien” come lo chiamavano i suoi compagni partigiani durante la resistenza, o il “champion italien”, come lo chiamavano quando da giovane - prima di farsi male - lottava sui ring, diventando anche campione d’Europa di lotta greco-romana. Anche se l’italiano lo parlava con accento francese, Lino - nato a Parma - restò sempre legato alla sua nazione di origine. Del resto la fedeltà e un’integrità incorruttibile erano un segno netto del suo carattere: fedele all’unica moglie, Odette, rifiutò sempre di baciare sul set un’attrice, anche se la parte e la scena lo prevedevano. E quando Jack Nicholson gli propose di sniffare cocaina, rifiutò di girare al suo fianco, così come rifiutò la parte poi assegnata da Spielberg a Truffaut in Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) semplicemente perché non credeva agli extraterrestri. Voleva interpretare solo personaggi credibili, voleva aderire in pieno al ruolo. Forse fu anche per questo che in un sondaggio del 1987, quando chiesero ai francesi quale fosse l’attore francese più amato, non scelsero Jean Gabin, o Alain Delon o Belmondo, ma lui, l’italiano tutto d’un pezzo.  

 

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