C’è qualcosa di onirico in quelle parole, “lost highway”. Evocano nella tua mente suggestioni di ogni genere

David Lynch legge queste parole in un libro di Barry Gifford, Gente di notte, uscito nel 1992, dice all’autore di trovarle bellissime e che avrebbero dovuto finalmente scrivere qualcosa a quattro mani, dopo Cuore selvaggio (1990), basato su uno dei capitoli della saga di Sailor e Lula, e due corti di Hotel Room (1993), scritti dal solo Gifford. Ne nasce (nel 1997) Strade perdute, per l’appunto, il film (disponibile su The Film Club) più disorientante e detestato della filmografia di Lynch, ma anche il più analizzato, studiato, commentato (in attesa che Mulholland Drive, 2001, gli sottragga il primato): quasi una sfida cognitiva, che scomoda filosofi del calibro di Slavoj Žižek, che lo interpreta ricorrendo a Lacan, e Pietro Montani, che ne fa il perno di una teoria dell’“immaginazione narrativa”.

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Patricia Arquette in una scena di Strade perdute


Tutto merito, o colpa, di “inciampi” narrativi che nel cinema di Lynch, in attesa di Mulholland Drive e INLAND EMPIRE (2006), non si vedevano dai tempi di Eraserhead (1977) - al quale Strade perdute rimanda esplicitamente nella prima parte “domestica” –, e che fanno impallidire le stranezze di Twin Peaks: una impossibile (ma forse solo apparente) circolarità narrativa, da nastro di Möbius; la fuga psicogena (dentro una cella di massima sicurezza) del protagonista, il sassofonista Fred Madison (Bill Pullman), cui si sostituisce il meccanico Peter Dayton (Balthazar Getty); una femme (Patricia Arquette) adultera (forse) nella prima parte e perversamente fatale nella seconda, bionda e bruna e (forse) gemella; un Uomo Misterioso (Robert Blake), pesantemente truccato, che dice e fa cose misteriose… Confusione? No, mistero: «Il mistero è positivo e la confusione negativa: c’è una bella differenza tra le due cose». E dove c’è mistero ci sono «sogno e meraviglia».

Dick Laurent è morto

Mai come in questo caso, in effetti - con buona pace dei filosofi - un film di Lynch chiede di essere prima di tutto guardato, lasciandosi trasportare da un ritmo ipnotico - dissolvenze, ralenti, sfocature, affondi nel nero -, da un impasto cromatico iperrealista (fotografia di Peter Deming), da spazi, fisici e mentali, labirintici, da dialoghi astratti e parole pesanti, dalla ripetizione di una battuta - «Dick Laurent è morto» - che ha assunto nel tempo lo stesso valore mitologico del tormentone «chi ha ucciso Laura Palmer?», da corpi mossi come statue, da improvvise esplosioni di comicità nera, da un impasto scurissimo e martellante di rumori (il rombo che invade la casa di Fred e Renée) e musiche: la colonna sonora dell’immancabile Badalamenti più, tra gli altri, Rammstein e Marilyn Manson. E David Bowie: «Funny how secrets travel» è il primo verso di I’m Deranged, sparata sui titoli di testa, mentre la macchina da presa corre velocissima su una strada (perduta) in una notte nera. Il senso del film, in fondo, è tutto in quella canzone («A blond belief beyond beyond beyond…») e in quella corsa senza meta e orizzonte. Ai quali, nel finale, non può non ritornare.



Autore

Luca Malavasi

Professore associato presso l’Università degli Studi di Genova, dove insegna Storia e analisi del film ed Elementi di cultura visuale. Collabora con le riviste “Cineforum” (on-line e cartaceo), “Film Tv”, “L’indice dei libri del mese” e co-dirige il semestrale “La valle dell’Eden”. Tra i suoi libri più recenti: Il cinema. Percorsi storici e questioni teoriche (con G. Carluccio e F. Villa, Carocci, 2015), Postmoderno e cinema. Nuove prospettive d’analisi (Carocci, 2017), Il linguaggio del cinema (Pearson, 2019).

IL FILM

locandina Strade perdute

Strade perdute

Noir - USA 1997 - durata 134’

Titolo originale: Lost Highway

Regia: David Lynch

Con Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Robert Loggia, Natasha Gregson Wagner

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