Gigantesco, ma leggerissimo. Pioniere, ma bandito. Condannato, ma assolto. Roscoe Fatty Arbuckle visse di contraddizioni.

Era già grosso alla nascita, con un peso record di 5.9 kg: da grande sarebbe arrivato a 130 kg. Eppure quel corpo ingombrante non gli impedì di iniziare a salire sul palco sin da quando aveva 8 anni, dove faceva piccoli numeri di agilità. Tre anni dopo sopraggiunse la morte della madre - che non si era mai ripresa dal parto, davvero traumatico - e il padre, che aveva sempre sospettato che il piccolo gigante fosse illegittimo, visto che in famiglia erano tutti snelli, lo allontanò, costringendo il ragazzino di 11 anni a trovarsi un lavoro. Ma Roscoe, che era di buon cuore e che canticchiava sempre mentre lavorava, fu notato da un cantante e invitato a partecipare a un talent show. Si iscrisse e cantò - niente di che, pare - ma a un certo punto cadde nella buca dell’orchestra: il pubblico lo seppellì di risate e lui vinse, iniziando la sua carriera nel vaudeville. Nel 1909 invece iniziò quella nel cinema. Quel connubio di massa e agilità acrobatica - si diceva che quando ballava fosse leggero come un piuma -  lo rese presto irresistibile e celebre: nel 1914 la Paramount gli offrì la cifra enorme di 1000 dollari al giorno. Ma il nomignolo con cui divenne noto - fatty, ciccione - non gli sarebbe mai andato giù. Fece da mentore a un gran numero di comici destinati a diventare famosissimi: Charles Chaplin, Buster Keaton e Bob Hope gli furono tutti debitori.

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Eppure Hollywood - o se preferite Tinseltown, come veniva soprannominata ai tempi - fu pronta a girargli la schiena in un attimo quando Roscoe rimase coinvolto in un fattaccio. Nel corso di una festa a San Francisco una donna nella sua camera si sentì male: si chiamava Virgina Rappe. Due giorni dopo venne portata in ospedale e morì di peritonite in seguito alla rottura della vescica. Una amica di Rappe disse che Roscoe aveva stuprato la donna e che la rottura della vescica era stata causata dal suo peso. La stampa ci saltò su: in seguito il magnate William Randolph Hearst (a cui fu poi ispirato Quarto potere), proprietario di un impero editoriale e padre del giornalismo scandalistico, ebbe a dire di aver guadagnato più dal caso Arbuckle che dall’affondamento del Lusitania. Fu il primo grande scandalo di Hollywood: un caso pilotato e montato (si scoprì che l’amica aveva persino preso soldi per testimoniare). Roscoe Arbuckle venne processato per ben tre volte: alla fine venne riconosciuto innocente, con tante scuse, e condannato solo per aver bevuto (era appena iniziato il proibizionismo). 

Ma le porte di Hollywood non si riaprirono per molti lunghi anni. “Fatty” cadde nell’alcolismo, si risolse a fare alcune regie sotto pseudonimo. L’assoluzione piena non era bastata a riabilitarlo: troppo era il fango che gli era stato gettato addosso. 

Poi nel 1932 uno spiraglio, anzi un grande raggio di sole: la Warner Bros era pronta a riaccoglierlo. Prima per una serie di sei cortometraggi: a oggi gli unici che ci consentono di sentire la sua voce. E l’anno dopo, addirittura un film, lungo, vero. Roscoe firmò il contratto il 28 giugno. La sera a un party disse agli amici “È il giorno più bello della mia vita”. Fu l’ultima sua grande contraddizione: la notte stessa morì d’infarto, aveva solo 46 anni. 

 

Purtroppo per il povero Roscoe il tempo non è stato galantuomo. Ancora oggi la sua storia - nonostante la biografia (in parte romanzata) scritta da Jerry Stahl e pubblicata in Italia da Strade Blu con il titolo di Io, ciccione, nonostante la grande quantità di materiali oggi accessibili in rete - viene travisata e si perpetua la versione scandalistica imbastita negli anni Venti. Una notevole responsabilità di tutto ciò è dovuta al libro Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, scritto nel 1959, che ridiede fiato alle dicerie (non solo sul conto di Roscoe Fatty Arbuckle), riattualizzando bugie e trasformandole in vere e proprie leggende urbane. Bandito per anni negli Stati Uniti per diffamazione, il testo è stato poi pubblicato in Italia nel 1979 da Adelphi (editore comunemente di qualità) e questo trasse in inganno molti lettori, che lo reputarono autorevole nonostante si trattasse evidentemente di un’operazione scandalistica e commerciale (come ammise lo stesso autore). 
A nulla servì che Kevin Brownlow - forse il massimo studioso del periodo del cinema muto - qualificasse quel libro come poco più che spazzatura, dal punto di vista della credibilità e della ricerca storica sui fatti. Un triste esempio di come le fake news possano perdurare nel tempo, sopravvivendo ai documenti, alle ricerche, agli atti processuali: un fango che rimbalza e continua  a rimbalzare ancora dopo un secolo. 

 

Tutti i film di Roscoe ‘Fatty’ Arbuckle