Please Baby Please

Macchina del fumo, luci rosa e blu illuminano un marciapiede newyorkese. Pare il set di West Side Story, e difatti da dietro l’angolo si materializza una gang di ragazzacci anni 50, ciuffi lucidi di brillantina e chiodi di pelle nera. I brutti ceffi infieriscono sul malcapitato di turno, mentre una coppia di neosposini si trova “nel posto sbagliato nel momento sbagliato”.

Urla nella notte, luccichii di coltelli a serramanico. Ma le gonne a ruota sono fin troppo colorate, le capigliature fin troppo cotonate: il mondo immaginato dalla regista Amanda Kramer è un Happy Days al cubo, più falso del falso. Scorie di immaginario camp masticate e rigurgitate, Grease virato in grottesco. Kenneth Anger e Peter Greenaway. John Waters e David Lynch. Il palcoscenico, più che di personaggi, pare popolato di cosplayer. Le figurine accennano una danza un po’ macabra e un po’ eccitante, e nell’euforia del momento cominciano a parlare: dicono quello che sono e quello che vorrebbero essere, quello che è stato detto loro di desiderare e quello che desiderano veramente.

La coppietta felice esplode, si perde, si frantuma in un gioco di specchi: lui (Harry Melling) vorrebbe essere tutto fuorché un uomo, lei (Andrea Riseborough) pagherebbe per potersi sentire maschio, almeno una volta nella vita. Lui si fa piccolo piccolo, e non intende vergognarsene, e nel mentre lei si ubriaca, immaginando di avere un fallo tra le gambe. Le immagini sono frastuono iperstilizzato, rumore di fondo inebriante, ma il messaggio arriva forte e chiaro: Kramer ha fatto i compiti, e sa bene che il genere non è che una performance, una farsa, una messinscena. Un film.

Il film