Le nostre notti con Rohmer

Sei film di Éric Rohmer presenti su MUBI. I Sei racconti morali che il regista francese realizzò tra il 1963 di La fornaia di Monceau e il 1972 di L’amore il pomeriggio. Su tutti svetta ancora La mia notte con Maud (1969), capolavoro in cui Rohmer si confrontava per la prima volta con i pensieri di Pascal e nell’incontro tra un ingegnere credente e una donna seduttrice rivelava una capacità unica di rendere con parole, gesti, sguardi e paesaggi (Clermont-Ferrand sotto la neve, nel bianco e nero di Néstor Almendros) concetti astratti come l’amore, la fedeltà a se stessi, lo scacco esistenziale.

Prima, ma in Italia distribuito dopo, era venuto La collezionista (1967), scritto con i tre interpreti principali (Patrick Bauchau, Haydée Politoff e Daniel Pommereulle) e primo film a colori di Rohmer, immerso nella luce della Costa Azzurra e sorta di “battaglia dei sessi” in cui due amici, un mercante d’arte e un pittore, finiscono preda di una mangiatrice d’uomini. La dinamica è la stessa del racconto numero due, il mediometraggio La carriera di Susanna (1963), in cui a darsi battaglia erano sempre due amici, uno timido e l’altro spavaldo, ma la vittima era la ragazza, vivace ma ingenua. Tutta la serie dei Six contes moraux era nata in realtà in forma letteraria, con sei storie concepite come racconti brevi e solo in seguito diventate sceneggiature. La parola ha dunque da subito un ruolo fondamentale (come avverrà in tutto il cinema di Rohmer, in cui le infinite conversazioni racchiudono la sostanza e la materia dei pensieri), ma in qualche modo al regista non bastava: «Se avessi considerato questi racconti conclusi nella loro forma scritta», scrive nella prefazione all’edizione pubblicata nel 1974, «non avrei sentito il bisogno di trasformarli in film. Perché, del resto, fare il cineasta e non lo scrittore?».

Il tipico stile rohmeriano - invisibile come quello di Hawks, il regista più amato ai tempi della collaborazione come critico ai “Cahiers du cinéma” - c’è già tutto o quasi nel primo racconto morale per il cinema, La fornaia di Monceau, 23 minuti appena di luce parigina, di ironia e dolcezza, di amore di un ragazzo per una ragazza, o forse due, una bionda e artista, l’altra piccolina e operaia, con una che arriva e l’altra che va, salvo poi tornare come avverrà mille altre volte nei film di Rohmer... Sono pochi i registi della Storia che hanno saputo farsi riconoscere con pochi e inconfondibili tocchi: Rohmer è uno di questi. In Il ginocchio di Claire (1970) gli basta una sola inquadratura, quella in cui il protagonista, che come al solito ha già deciso chi amare, resta colpito da un ginocchio in bilico su una scala: e tanto gli basta per andare in crisi... E l’ultimo racconto, L’amore il pomeriggio (1972), è un percorso a ostacoli fra emozioni cangianti e traditrici, un mariage à la Rohmer, candido e peccaminoso, in cui il cinema di parola si fa assoluto. Cinema di piaceri, tentazioni, illusioni.

Eric Rohmer su MUBI