Tutti odiano Lena Dunham. La odiano tanti spettatori adulti, che non ne capiscono scelte e atteggiamenti e ai quali oggi forse risponderemmo senza pietà «ok, boomer». La odiano molti suoi coetanei, cioè i millennial, quelli che non ci stanno a farsi rappresentare così, narcisisti, viziati e ignavi, e a sentirsi dire che proprio quest’antipatica tizia newyorkese è «la voce della loro generazione». La detestano gli spettatori non bianchi, perché Dunham fotografa una Manhattan di un candore quasi uniforme, e anche perché le ininterrotte lamentele e le futili traversie delle quattro protagoniste di Girls sono l’apoteosi dei white people problem.

Lena Dunham
Girls (2012) Lena Dunham

La odiano i maschilisti perché è orgogliosamente femminista, a partire dalla sfacciataggine inevitabilmente politica con cui esibisce in tutta la sua impenitente nudità un corpo non conforme alle regole dello schermo; e la odiano alcune femministe, perché il suo attivismo vagamente improvvisato incappa spesso in poco difendibili scivoloni. La odiano i giovani aspiranti artisti, che l’accusano di esser favorita dal nepotismo: classe 1986, figlia del pittore Carroll Dunham e della fotografa Laurie Simmons, sponsorizzata da Judd Apatow - che era rimasto impressionato dal suo lungo d’esordio Tiny Furniture, premiato agli Independent Spirit Awards -, nel 2011 a soli 25 anni Lena ottiene dalla prestigiosissima rete via cavo HBO il via libera per realizzare una serie tv a partire da quello che lei stessa definisce «il peggior pitch di sempre». Che era in realtà poco più di una paginetta, senza trama né personaggi, solo una via di mezzo tra un’infuocata filippica sulle “giovani d’oggi” (di allora) e l’accorata denuncia di un’invisibilità: «Sono bellissime e insopportabili. Sono iper-consapevoli ed egoriferite. Sono le vostre fidanzate, le vostre figlie, le vostre sorelle e le vostre impiegate. Sono le mie amiche, e non le ho mai viste in tv».

Lena Dunham, Allison Williams, Zosia Mamet, Jemima Kirke
Girls (2012) Lena Dunham, Allison Williams, Zosia Mamet, Jemima Kirke

È la stessa Dunham, all’inizio di quella paginetta, a rivendicare la discendenza di Girls da Sex and the City, qualcosa che poi il marketing utilizzerà per promuovere una serie obiettivamente diversissima da tutto quel che c’era attorno, in quel momento, in tv, fatta eccezione forse per Louie di Louis C.K., che sul canale concorrente FX negli stessi anni rivoluzionava il medium in modo simile e parallelo a Girls. Cioè sperimentando con le potenzialità, i limiti e le forme della comedy da mezz’ora a episodio, applicando alla tv i modi produttivi e stilistici del mumblecore, indagando protagonisti egocentrici e sgradevoli ricalcati sui rispettivi autori-attori-creatori, al punto da rendere quasi impossibile scindere la persona dal personaggio; e utilizzando una comicità straniante, critica e disperata, che prima fa ridere con l’imbarazzo di seconda mano e poi punge, e lascia l’amaro in bocca, rivelandosi quell’impietoso specchio scuro in cui noi spettatori non vorremmo vederci mai.

Adam Driver, Lena Dunham
Girls (2012) Adam Driver, Lena Dunham

Da Sex and the City, però, Dunham (con la co-showrunner Jenni Konner) voleva anche marcare una fondamentale differenza: sì, anche qui quattro ragazze cercano se stesse (e fanno molto sesso) a New York, ma al contrario di Carrie & Co. annaspano in un limbo esistenziale, sociale e storico allora inesplorato. In quella che col senno di poi (cioè oggi) è la rassegnata cifra della generazione millennial, ovvero una precarietà che dilaga a ogni livello del vivere, dalla quale non si scorgono vie di fuga, e quindi ci si ferma, immobili, incapaci di evolvere, ripetendo inesorabilmente le stesse scelte sbagliate. In realtà - dopo aver ispirato migliaia di articoli d’opinione sulle testate specializzate d’oltreoceano (e c’è chi sostiene che un certo commento tagliente e polemico all’intrattenimento sia nato proprio con Girls) - in sei stagioni le ragazze sono, effettivamente, cambiate, scivolando loro malgrado nell’età adulta: proprio come accade nella vita vera, questo non vuol dire necessariamente che siano cresciute, men che meno che si siano trasformate in persone migliori.

Andrew Rannells
Girls (2012) Andrew Rannells

Nel frattempo, però, la scrittura e la messa in scena di Dunham (ben più precise e raffinate, fin dall’inizio, di quanto tanta critica volesse concederle) hanno fatto scuola: piegando al proprio volere e ribaltando i cardini della commedia romantica (le feste, i matrimoni improvvisati, i gesti eclatanti, le grandi dichiarazioni, le rincorse appassionate: tutti dolorosamente smascherati dall’insincerità, dall’egoismo, dalla patetica ossessione del mettersi in scena), restituendo la fatica e la frustrazione al coming of age, liberandosi della necessità stringente di seguire una trama definita e così assecondando l’esperienza ondivaga e spiazzante delle protagoniste, confezionando praticamente in ogni stagione un episodio-gioiello a sé, acuminato, autosufficiente ed essenziale come i migliori cortometraggi (ricordiamo almeno il 2x05, One Man’s Trash; il 5x03, Japan, e il 6x03, American Bitch), rappresentando il sesso senza pudori o prurigini ma in tutto il suo imbarazzante, spesso disgustoso, quasi mai davvero soddisfacente realismo.

Lena Dunham, Riz Ahmed
Girls (2012) Lena Dunham, Riz Ahmed

Lo prova il fatto che Girls ha spalancato l’era della sadcom, le serie dal breve formato e dalla fortissima impronta autoriale che negli scorsi anni 10 sono state il territorio più libero e proficuo della tv: show come Please Like MeLookingLoveInsecure e I Love Dick, ma anche capolavori come Atlanta e Fleabag, e poi TransparentEasy, One Mississippi, Master of None, BoJack HorsemanRamy, Vida, High Maintenance, l’hipsterissima Search Party e le (ancora inspiegabilmente) inedite Broad CityBetter Things (*) e Shrill... Lena Dunham non sarà stata la voce della sua generazione, ma a quante voci, e di quante generazioni, ha finito, inaspettatamente, per aprire la strada!


(*) Better Things nel frattempo è arrivata in streaming su Disney+ e in quella occasione Film Tv l’ha recensita sul n° 40/2021!

Autore

Alice Cucchetti

Nasce a Busto Arsizio, studia a Bologna, vive a Milano. I suoi genitori le hanno sempre detto di non guardare i telefilm, inevitabilmente indirizzandola verso un consumo appassionato e compulsivo di serialità televisiva. Tra gli autori storici di Serialmente.com e co-fondatrice di Mediacritica.it, ha curato la rubrica Cinetv di "Nocturno" e ha collaborato, tra gli altri, con Best Movie, Best Serial, Abbiamoleprove, Grazia.it, Osservatorio Tv. Ama le canzoni con i finali tristi, gli androidi paranoici, i paradossi temporali, i gatti e il cioccolato. Oltre che sulle pagine di Film Tv, dove cura le rubriche Serial Minds e Telepass, chiacchiera ai microfoni di "Pilota - Un podcast sui telefilm", il programma sulle serie tv di Querty.it.

Cinque serie da vedere se ti è piaciuta Girls

locandina Please Like Me

Please Like Me

Commedia - Australia 2013 - durata 25’

Titolo originale: Please Like Me

Creato da: Josh Thomas

Regia: Josh Thomas

Con Josh Thomas, Thomas Ward, John, Debra Lawrance, David Roberts, Renee Lim

Come Lena Dunham ai tempi di Girls, anche Josh Thomas aveva solo 25 anni quando gli è stata data carta bianca per la sua serie tv, di cui è autore e protagonista: australiano, gay, enfant prodige della stand-up comedy, con Please Like Me portava sullo schermo una versione corale del suo omonimo one man show. E come Girls questo è il ritratto assai autobiografico di giovani brillanti ma avviluppati nel proprio privilegio, eccentrici e dolcemente disfunzionali; molto hipster (ogni puntata ha il nome di un piatto), ma sempre acuto e, soprattutto, capace di esplorare nelle sue quattro stagioni (dal 2013 al 2016) aspetti spigolosi del (tardivo) coming of age. Oltre ai nodi di relazioni amorose e amicali, infatti, Josh affronta la depressione di sua madre, con archi narrativi dedicati alla salute mentale (in cui compare come co-protagonista Hannah Gadsby, la stand-up comedian di Nanette) scritti con grande schiettezza e intelligenza.
locandina Looking

Looking

Commedia - USA 2014 - durata 30’

Titolo originale: Looking

Creato da: Michael Lannan

Regia: Andrew Haigh, Joe Swanberg, Jamie Babbit, Ryan Fleck, Craig Johnson

Con Jonathan Groff, Frankie J. Alvarez, Andrew Haigh, Murray Bartlett, Joe Swanberg, Lauren Weedman

in streaming: su Now TV

Anch’essa targata HBO, la serie creata da Michael Lannan è stata a lungo definita la «versione gay di Girls»: ambientata nella comunità LGBT di San Francisco, ruota intorno a Patrick (Jonathan Groff, poi star di Mindhunter) e ai suoi amici, trentenni con carriere molto trendy (game designer, sommelier, aspirante artista) e relazioni complicate. Una boccata d’aria fresca nella rappresentazione dell’omosessualità, per l’approccio ironico e sensibile da dramedy che restituisce non l’eccezionalità, bensì l’ordinarietà delle vite dei protagonisti: merito anche della regia, affidata in gran parte al britannico Andrew Haigh (Weekend, 45 anni, Charley ThompsonEstranei). Ritratto generazionale ma pure cittadino: come Girls è la fotografia di una certa New York, fra mode e manie, Looking lo è, sulla costa opposta, di San Francisco. Cancellata dopo due sole stagioni (2014-2015) per i bassi ascolti, si è conclusa nel 2016 con un tv movie (Looking - Il film), sempre diretto da Haigh.
locandina Love

Love

Commedia - USA 2016 - durata 30’

Titolo originale: Love

Creato da: Judd Apatow, Lesley Arfin, Paul Rust

Con Gillian Jacobs, Paul Rust, Judd Apatow, Claudia O'Doherty, Lesley Arfin, Mike Mitchell

in streaming: su Netflix Netflix Basic Ads

Dietro il successo di Girls c’è (anche) la produzione di Judd Apatow, che qualche anno dopo ha bissato creando (insieme al co-protagonista Paul Rust e a Lesley Arfin) un altro ritratto delle paturnie millennial: altra metropoli (Los Angeles), altre relazioni intermittenti, altri personaggi alle prese con un ego tanto espanso quanto fragile. Mickey e Gus (Gillian Jacobs e Paul Rust), rispettivamente autrice radiofonica e aspirante sceneggiatore nell’ordinaria corsa per la fama hollywoodiana, si incontrano e ci mettono tre stagioni (dal 2016 al 2018) a capire che amarsi vuol dire anche accettarsi reciprocamente, nevrosi e dipendenze comprese.
locandina I Love Dick

I Love Dick

Commedia - USA 2017 - durata 25’

Titolo originale: I Love Dick

Creato da: Jill Soloway

Con Kevin Bacon, Kathryn Hahn, Bobbi Salvör Menuez, Jill Soloway, Griffin Dunne, Roberta Colindrez

in streaming: su Prime Video

Tra le cose che Girls ha cambiato in modo radicale nella serialità televisiva c’è, sicuramente, la rappresentazione delle donne, del desiderio femminile e del sesso, resi complessi e contraddittori, non patinati e del tutto insofferenti a stereotipi di genere. Aprendo la strada a narrazioni come quelle di Jill Soloway, che dopo Transparent ha tratto I Love Dick dal romanzo di Chris Kraus (Neri Pozza, 2017): una sola stagione (2016-2017) per mettere in scena l’attrazione totalizzante, ai limiti dello stalking, accesa in Chris (la straordinaria Kathryn Hahn) dall’elusivo artista Dick (Kevin Bacon, in godibile gioco col suo status di sex symbol sottoposto a fervido female gaze), e nel frattempo ribaltare cliché narrativi (eleggendo a numi tutelari registe di cinema sperimentale).
locandina Insecure

Insecure

Commedia - USA 2016 - durata 28’

Titolo originale: Insecure

Creato da: Issa Rae, Larry Wilmore

Con Issa Rae, Yvonne Orji, Christopher Allen, Arden Myrin, Brent Jennings, Tara Turnbull

Una delle accuse rivolte a Girls è quella di mettere in scena un mondo inesorabilmente bianco e pochissimo aperto alla diversity: la voce della talentuosa Issa Rae, invece, racconta con rabbia e ironia cosa vuol dire essere una millennial, ambiziosa ma confusa, quando sei afroamericana e vivi nella parte meno luccicante di Los Angeles. Come Dunham autrice-attrice, Rae ha creato Insecure per HBO nel 2016 insieme al veterano del piccolo schermo (da Willy, il principe di Bel Air a Black-ish) Larry Wilmore, arrivando per ora a quattro annate notevoli.