Rossellini era il regista più odiato della sua generazione. Non fosse stato per Bazin... Ma ebbe guai pure con la mia, quella dei sessantottini, a caccia di patriarchi da uccidere per crescere, salvo rivalutarli per non restare immaturi. Era un geniale anticipatore riguardo all’evoluzione dei supporti e all’emergenza del cinema-saggio contro il cinema-spettacolo. Fu un precursore scandaloso di immaginari a venire. Aprà loda il suo “stile senza stile”, il codice aperto, i procedimenti tecnologici per risparmiar soldi (il celebre zoom manovrato a distanza con la leva da tranviere, di sua invenzione), le fertili contraddizioni. Sarebbe stato inebriato, oggi, dall’era digitale e dalla guerra & pace con i social media. Far circolare informazione, da tutto il mondo e contemporaneamente, era il suo obiettivo. Appariva perfino crudele e violento con se stesso, con i suoi cedimenti commerciali («commerciale non è voler far soldi», ripeteva, ma imporre un’estetica del cinema, con i suoi valori tristi e le sue belle, seducenti, ipnotiche immagini).

Roberto Rossellini
La macchina ammazzacattivi (1948) Roberto Rossellini

Cinema come divertimento? Non ne parliamo. Rallenta la produzione di neuroni. Attivare al massimo la ragione, ecco il dovere della comunicazione audiovisiva. Hollywood è una “animal house”, una fabbrica perfetta, «ma di salsicce». «Un grande film è Window Water Baby Moving di Stan Brakhage!» confessò ad Adriano Aprà. Di Roma città aperta autocriticava la scena dei ragazzini che fischiano, «come nelle commedie», durante l’esecuzione di Fabrizi. E magari anche la gonna troppo alzata di Anna Magnani, colpita dal nazista. Noi pensavamo invece che accrescere ed esaltare le facoltà intellettuali dell’uomo fosse nulla rispetto alle fantascientifiche scoperte delle sostanze isotrope che dilatavano la coscienza, e che bisognasse viaggiare non solo in avanti ma anche indietro nella scala biologica evolutiva, visti i risultati. Lui su LSD, aborto, femminismo e gay era all’antica. Non parliamo poi dei suoi rapporti con il potere nazionale, politico ed economico, con l’editore di destra Rusconi per esempio, e mondiale (Indira Gandhi, il MIT, il segretario dell’ONU...), di cui conosceva le astuzie sublimi e maligne, e che sapeva “ammaestrare” meglio di Orson Welles (evitò sempre e accuratamente di consegnar copioni a David O. Selznick...).

Roberto Rossellini, Ingrid Bergman
Stromboli terra di Dio (1949) Roberto Rossellini, Ingrid Bergman

Ma non bisogna fare confusione tra morale di una vita e morale di un film, soprattutto grazie a chi, come lui, ci invitava a entrare ma contemporaneamente uscire dallo schermo, perché era la vita da cambiare (e lo Stato da abbattere), non le tecniche di ripresa o la ricerca dell’immagine giusta, per essere sempre più sorprendenti. Per la prima volta scoprimmo un cineasta che aveva “partorito” tanti autori (incoraggiò tutti i ragazzi parigini della futura nouvelle vague, l’egiziano Shadi Abdel Salam ed Ellis Donda) rinnegando per sé, e non per falsa umiltà, la qualifica di autore. Imparava sbagliando molto (Anima nera, Il generale Della Rovere) e le sue costituzioni di oggetti erano perfette ma invisibili perché puntava alla chiarezza: «conta il processo globale del genere umano». Henri Langlois diceva che per proiettare i film di Rossellini, tanto era importante e presente il fuoricampo, bisognava inventare uno schermo animato perché adesso una cosa si allargava di là, ora di sopra, ora di sotto.

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Paisà (1946) scena

A proposito di animato. Partito dalla registrazione (Paisà), Rossellini ha sconvolto l’idea di casting (Ingrid Bergman scippata a Hollywood e disintossicata nei gesti) e verso la fine si è indirizzato in direzione del disegno animato (il progetto pedagogico tv, nato dai suoi continui viaggi), con antropomorfismi degni di Disney: in India - Matri Bhumi la scimmia si esibisce al trapezio sotto gli occhi dell’altra scimmia... Il cineasta romano di origine pisana si è occupato non dell’uomo (come Ford o Hawks) ma dell’enigma dell’animale umano nel tempo in cui, per la prima volta, la specie ha pensato di autodistruggersi (bomba atomica, inquinamento, rapina e fine delle risorse energetiche, neocolonialismo...). Rossellini, come un pilota di Grand Prix che taglia il traguardo con molti giri di vantaggio, era dunque troppo avanti: faceva film e già anticipava le trasmissioni tv, con sguardi in camera, lunghi pianisequenza, materiale di repertorio, ellissi, vuoti e frettolosità di montaggio. Cinema imperfetto in presa diretta, di voce più che di scrittura. Rossellini ci ha insegnato a essere di parte, nel senso di partecipare alla storia, e contemporaneamente imparziali, nel modo di giudicarla. Per questo nacquero le Brigate Rossellini di Farassino, Sanguineti, Menon, Germani, Ghezzi, Ungari.

Autore

Roberto Silvestri

Al cinema sono transgender (da Lloyd Kaufman a Straub-Huillet passando per Claudia Weil e Jerry Lewis). Primo film visto Scaramouche, primo film perso I cavalieri della tavola rotonda. Tessera Filmstudio dal 1968. Cofondatore del Politecnico cinema nel 1974. Critico del manifesto dal 1977 al 2012. Nato a Lecce. Studi con Garroni, Brandi, Abruzzese. Registi preferiti Bunuel e Rocha (sia Paulo che Glauber), Aldrich e Siegel. De Antonio e Grifi. Diop Mambety e Ghatak. Dorothy Arzner e Stephanie Rothman (nata a Paterson come Lou Costello), Fassbinder e Aki Kaurismaki, Russ Meyer e… Rivista di cinema preferita Velvet Light Trap/Camera Obscura. E oggi Trafic. Consigli ai giovani appassionati di cinema? Partire dai formalisti russi.