In queste settimane il microcosmo ad alta fatturazione della stand-up comedy è in fermento per via di una polemica su scala internazionale che non può essere liquidata con semplicismo. Il formicaio dei migliori comici USA – o per essere più precisi e meno opinabili: dei comici USA più celebri e di successo – è stato calpestato dalle montagne di petroldollari in contanti sganciati dal rampante principe Mohammad bin Salman Al Sa’ud che, nel suo piano pluriennale di riposizionamento culturale dell’Arabia Saudita iniziato con lo sport (calcio, tennis, golf) e appena sbarcato nel mondo dell’intrattenimento (si parla di investimenti miliardari anche in uno studio hollywoodiano), ha organizzato nella capitale il Riyadh Comedy Festival.
Convinti da una pletora di palanche, gente come Mo Amer, Aziz Ansari, Bill Burr, Dave Chappelle, Jimmy Carr, Louis C.K., Whitney Cummings, Pete Davidson, Kevin Hart, Gabriel Iglesias, Andrew Schulz, Chris Tucker, Jeff Ross, Jack Whitehall, Mark Normand, Tom Segura e altri – tutti campioni, o presunti tali, di una forma d’arte nata dal basso per rompere i coglioni a chi sta in alto – hanno accettato di esibirsi in un paese che da qualche anno ha cominciato a imbellettarsi per farsi accettare dalla comunità internazionale e attirare investimenti e turismo, ma che dietro le quinte continua ad apprezzare la schiavitù informale, il traffico di esseri umani, la pena di morte dietro processo sommario, l’epurazione dei dissidenti, la persecuzione delle persone omosessuali, le donne assoggettate, i giornalisti smembrati e gli aeroplani che si schiantano sui grattacieli.

I comici coinvolti hanno giustificato e/o spiegato la loro presenza nelle maniere più disparate: con aggressività e tracotanza (Schulz, Burr, Segura) al grido di, più o meno, “io sò io e voi non siete un cazzo”; con sincerità (Davidson), ammettendo di non essere riusciti a rifiutare tutti quei soldi per una singola serata di lavoro; con il silenzio; o argomentando, in maniere nemmeno troppo peregrine, come l’Occidente d’oggidì, democrazia a parte, faccia tranquillamente a gara di ipocrisia con paesi come l’Arabia Saudita. Mentre leggevo di tutto questo vespaio, riflettevo anche sui nomi che hanno rifiutato l’offerta saudita (Mike Birbiglia, Shane Gillis, Stavros Halkias, Leslie Liao, Atsuko Okatsuka e Tony Hinchcliffe), notando che, per fortuna, c’è ancora spazio per qualcuno in grado di porre limiti a quello che il denaro può acquistare. Ma pensavo soprattutto a una campionessa di coerenza come Michelle Wolf, che fatalità ha da poco pubblicato il suo secondo speciale di stand-up su Netflix, The Well.

Nel 2018, la giovane carriera comica di Wolf era ben posizionata per decollare nella stratosfera della celebrità televisiva. Dopo aver testato le acque come collaboratrice del Late Night with Seth Meyers (dove, data la fenomenale somiglianza, aveva creato una versione adulta della piccola orfana Annie), nel 2016 Wolf era passata a una versione più politicizzata dello stesso format, ovvero il Daily Show fondato da Jon Stewart e, all’epoca, guidato da Trevor Noah. Dopo due anni di successi ininterrotti, Wolf ottiene un riconoscimento decisamente più morale che finanziario, ovvero la rituale esibizione comica organizzata in occasione della White House Correspondents’ dinner, la festa annuale in onore dei giornalisti inviati alla Casa Bianca, a cui solitamente partecipa anche il presidente in persona ed è spesso un momento fondamentale per la democrazia statunitense, in cui il potere costituito viene sbertucciato in abito formale da un guitto chiamato ad additare ironicamente le nudità del sovrano di fronte a chi dovrebbe lottare per la libertà di stampa e di parola.
Chiamata in occasione della prima White House Correspondents’ dinner tenuta sotto l’egida di Trump (che OVVIAMENTE è stato l’unico presidente a non presenziare all’evento), Wolf poteva calare le brache morali come i suoi colleghi hanno fatto in Arabia Saudita e auto censurarsi; poteva spuntarsi i canini ed esibirsi in un monologo simpatico ma innocuo; poteva continuare ad avere una carriera nella tv generalista senza essere considerata velenosa perché disapprovata dal governo in carica. E invece si è presentata sul podio a pistole spianate, facendo quello che dovrebbe fare ogni buon comico: rompere i coglioni a chi sta in alto.
La sua poca disposizione a piegarsi al potere, Michelle Wolf in qualche modo l’ha pagata. La sua carriera televisiva è stata espunta dai network e, da allora, si è limitata a qualche apparizione su Netflix. Oh, parliamoci chiaro: non è finita in mezzo a una strada. Ha continuato a fare stand-up in giro per il mondo in locali rigorosamente fumosi e in teatri rigorosamente esauriti. E ha pure messo su famiglia. Michelle Wolf se la cava alla grande e ha ancora un pubblico di fedelissimi che la segue con passione. Che ammira la sua integrità di comica e la rara scelta di preferire una vita da milionaria invece che da miliardaria (sigh), ma con la possibilità di guardarsi allo specchio la mattina senza troppi patemi. E The Well, eccellente speciale di stand-up post parto, è lì a ricordarci la presenza di comici e comiche straordinari e straordinarie che non hanno bisogno di sovraesposizione mediatica o di soldi particolarmente lerci per fare bene il loro mestiere.
Wolf indossa il suo più splendente sorriso da Annie per scherzare su tutto e tutti. Sui suoi amici e alleati, gli uomini omosessuali, che la fanno arrabbiare perché dopo aver ottenuto i diritti che si meritavano anche grazie all’aiuto delle donne che hanno combattuto al loro fianco, adesso che sono abbastanza a posto fanno gli gnorri quando si tratta dei recenti rigurgiti di misoginia.”Ah, dunque non puoi più abortire? Se non lo vuoi lo prendo io questo bambino. È mulatto? Sarebbe fantastico se fosse mulatto, adoriamo i mulatti”. Sbertuccia i reazionari e i conservatori che si dichiarano pro-vita, ma alla fine sono come dei pedofili che si dichiarano pro-bambini: tecnicamente è vero, non si può eccepire che siano pro-vita, anche se poi nei fatti odiano un sacco di cose vive, compreso l’ambiente, e difendono i feti facendo poco o nulla per le donne che li hanno portati in grembo.
Punta il dito sul mondo della moda che non ha ancora mai pensato di fare dei vestiti da donna con delle cazzo di tasche, porca pupazza. E incendia tutte quelle donne che storcono il naso quando lei ammette di essersi bevuta un frullato di placenta e bacche per recuperare fisicamente e psicologicamente dal parto in casa, ricordando loro una grande verità: l’avete fatto tutte un pompino con ingoio. Almeno la placenta è una cosa che cresce dentro di voi e ha protetto e nutrito vostro figlio per nove mesi. Lo sperma invece da dove arriva? Orsù, siate brave.

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