Da quando è diventata un indotto artistico a sé stante, slegato dal linguaggio della prosa teatrale e costruito su codici propri e indipendenti, la comicità è cambiata assai. Che ridere gli eufemismi. In realtà, se i pionieri della comicità come nicchia popolare dell’industria dello spettacolo – quelli del teatro di varietà, per dirla all’italiana: fossimo francesi sarebbe café-concert, fossimo inglesi music-hall, fossimo statunitensi vaudeville – e se i comici impresari dell’epoca tipo Fred Karno, il genio che scoprì Stan Laurel e Charlie Chaplin, incontrassero i loro corrispettivi odierni, faticherebbero a riconoscerli come colleghi. Presumibilmente, la domanda più gettonata sarebbe: era così necessario sostituire le signorine che ballano con le battute triviali? C’è uno stile di comicità, tuttavia, che è rimasto fondamentalmente intatto rispetto ai prodromi e che non ha mai avuto bisogno di volgarità per farsi notare nell’agone della comicità moderna.

La sketch comedy è nata in teatro come collezione di brevi scenette – a volte fulminanti, a volte assurde e surreali, a volte satiriche, quasi sempre sceme – che potevano alternarsi senza un particolare senso logico oppure seguendo un filo rosso tematico o estetico, ed era un formato di intrattenimento che si poteva adeguare in maniera ideale anche al passaggio al mezzo televisivo rimanendo tale e quale. Dai gruppi teatrali dedicati al genere, come il Footlights di Cambridge e la Second City di Chicago, si è passati senza soluzione di continuità a programmi televisivi che hanno attraversato la storia del piccolo schermo come il Benny Hill Show, il Monty Python’s Flying Circus, Fry e Laurie, il Carol Burnett Show, il Chappelle’s Show e ovviamente il Saturday Night Live, arrivando fino alle più recenti iterazioni online – il comico più in voga del momento negli USA, Shane Gillis, ha ottenuto il suo primo successo con lo sketch show su YouTube Gilly and Keeves.

Invece di annoiarvi con un discorso generico con cui, per osmosi, avete tutti una familiarità più o meno spiccata – la sketch comedy, tra le altre cose, è anche il format preferito dell’animazione di qualsiasi villaggio vacanze che si rispetti – preferiamo presentarvi i migliori rappresentanti del genere che forse ancora non conoscete, dal momento che per quasi tutta la loro carriera sono rimasti nel limbo dell’inedito che tocca in sorte alla maggior parte della produzione televisiva britannica, ingiustamente negletta a favore dei cugini ribelli a stelle e strisce. Sono David Mitchell e Robert Webb, Mitchell and Webb per gli amici della gelida Albione, che in Italia ufficialmente sono arrivati solamente con la prima stagione della loro (eccellente) sitcom Peep Show e forse con qualche copia nel cestone di Blockbuster di Magicians, commedia che hanno realizzato con Jesse Armstrong (proprio quello di Succession). Il resto rimane nella foschia della telly inglese mai distribuita dalle nostre parti, ed è un gran peccato.

Mitchell e Webb si conoscono tra le fila del Footlights di Cambridge – lo stesso gruppo teatrale che forgiato Hugh Laurie e Stephen Fry, metà dei Monty Phyton, Sacha Baron Cohen, Richard Ayoade, Peter Cook, Emma Thompson e persino David Frost, il giornalista passato alla storia per la sua celeberrima serie di interviste a Richard Nixon. Prima di raggiungere il grande pubblico (e l’Academy dei BAFTA) con Peep Show nel 2003, il giovane duo di venticinquenni o poco più testa le acque televisive con due sketch show che sono scorrettamente rimasti in una minuscola nicchia (entrambi hanno avuto una sola stagione di 6 episodi) pur essendo quanto di più raffinato e matto che il genere potesse offrire all’alba del nuovo millennio.

All’inizio del 2000, Mitchell e Webb sperimentano con Bruiser, coadiuvati dalle interpretazioni di Olivia Colman e Martin Freeman (maccosa?), dimostrandosi in grado di spaziare da una scenetta all’altra dalla satira allo slapstick, dal nonsense alla parodia, dalla comicità di pura logica al più fesso gioco di parole, a volte mescolando i diversi piani di ironia anche nello stesso sketch, quasi sempre riuscendo a creare premesse quotidiane che virano in fretta nell’assurdo, giocando con le aspettative dello spettatore per poi disattenderle nelle maniere più impensabili, spesso ribaltate con un fare compassato che non si addice al cambio di paradigma.

Alla fine del 2001 si ripetono e si raffinano con The Mitchell and Webb Situation, altre sei puntate di sketch tra il geniale e l’infantile – che diventa irresistibile se associato alla pomposità di due laureati a Cambridge – in cui la coppia (sempre con il magistrale supporto dell’incredibile Olivia Colman) si permette anche di andare oltre, creando sketch ricorrenti che danno una profondità differente alla serie. In ogni episodio non mancano i personaggi dei due sceneggiatori cialtroni che si lanciano in dettagliati brainstorming con la convinzione di stare scrivendo qualcosa di originale, quando in realtà stanno scoprendo l’acqua calda. E ogni puntata si chiude con una punchline diversa fornita sui titoli di coda dai personaggi di due senzatetto laconici e alcolizzati, ma non privi di senso dell’umorismo (“Oh well, this wall won’t piss itself”).

La scrittura degli sketch di Mitchell e Webb è talmente affinata, vivida e precisa che funziona anche in radio: nel 2003 creano per BBC Radio 4 That Mitchell and Webb Sound, i cui personaggi e scenette di maggior successo vengono traslati abilmente nella loro serie TV definitiva, That Mitchell and Webb Look (ancora una volta impreziosita dalla presenza di Olivia Colman), che stavolta viene tenuta in vita per quattro stagioni, permettendo alla coppia di sbizzarrirsi con personaggi e situazioni ricorrenti. Tra il vagabondo matto (Sir Digby Chicken Caesar) che crede di essere Sherlock Holmes, il quiz di matematica di cui non vengono mai svelate le regole e in cui i concorrenti dicono numeri a caso finché il conduttore non li battezza (That’s Numberwang!), le spie cospiratrici e gli sceneggiatori indolenti, That Mitchell and Webb Look è una miniera d’oro di intuizioni e scemenze irresistibili, che prende la migliore tradizione britannica della sketch comedy e la catapulta nel post-moderno di nuovo millennio.
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