Pensate a X-Files, ma invece degli alieni e delle cospirazioni governative metteteci le possessioni demoniache e la Chiesa cattolica. È questo il riassunto più immediato di Evil, che della seminale serie di Chris Carter riprende anche la coppia protagonista formata da una scienziata scettica e da un investigatore che vuole credere: Kristen Bouchard (Katja Herbers, attrice olandese, già in Manhattan, ha lasciato il segno anche in episodi di The Americans e Westworld) è una psicologa forense, atea, che assiste la giustizia nella profilazione dei criminali, madre di quattro bambine che cresce pressoché sola mentre il marito guida spedizioni sull’Everest; David Acosta (Mike Colter, già supereroico Luke Cage ed elegante boss della droga in The Good Wife e The Good Fight) è un seminarista, cattolico, in procinto di prendere i voti, ex giornalista dal passato complicato e con una propensione per le visioni mistiche (aiutate dall’uso di allucinogeni). Ed è ufficialmente incaricato dal Vaticano di studiare incidenti “inspiegabili” che potrebbero rientrare nel reame del sacro o del demoniaco: possessioni, infestazioni, ma anche miracoli, visioni, profezie.
Lo affianca l’esperto di tecnologia Ben Shakir (il comedian Aasif Mandvi), di famiglia musulmana ma il più scettico di tutti; però quando incontra la strada di Kristen (perché un serial killer afferma di aver agito per conto del Diavolo...) la coppia lavorativa diventa un terzetto - con relativa tensione sessuale irrisolta, e doppiamente proibita, tra David e Kristen, ça va sans dire. Nessuno, oggi, sa giocare con la struttura del procedurale da tv generalista come i coniugi Robert e Michelle King (l’universo di The Good Wife, la precocemente defunta BrainDead), trasformando dinamiche teoricamente formulaiche in continui rilanci creativi, e utilizzando la superficie rassicurante del format per disseminare esche di complessità politica e atmosfere ineditamente surreali e weird.
Evil è il loro esperimento più spericolato finora, volutamente imperfetto (ma, come tutta la lunga serialità, si costruisce ingranando un episodio dopo l’altro), solo all’apparenza distante dai political e legal drama precedenti, eppure espressione inconfondibile della loro poetica e del loro stile. Una sottile vena di commedia, perfino di teatralità camp, innerva il susseguirsi d’indagini che - proprio come parecchi dei casi giudiziari affrontati in passato da Alicia Florrick e Diane Lockhart - corrono sempre sul filo dell’ambivalenza (fede e scienza sono nell’occhio di chi guarda, vero e fake sempre meno differenziabili: è qui il cuore militante dello show), e nello stesso tempo spingono l’inquietudine orrorifica un filo oltre il limite di quel che ci si aspetta dalla prima serata della CBS (dove questa annata è andata in onda in Usa). Basta guardare ai casi migliori della stagione, insieme ridicoli e terrificanti, come le più efficaci leggende metropolitane (la canzoncina virale che istiga al suicidio, l’Alexa che spinge alla pazzia) o come gli estremi del cinema horror (il feto posseduto); o, ancora di più, all’agghiacciante villain Leland Townsend interpretato con sommo divertimento da un luciferino Michael Emerson: al confronto, il suo Ben Linus di Lost era un tipo amabile...
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