Shrinking

Un anno dopo essere rimasto vedovo, lo psicoanalista Jimmy abbandona uno stile di vita dissoluto e autolesionista per riprendere gradualmente a lavorare per il suo mentore Paul e a ricevere pazienti. Ma la terapia a cui li sottopone è assai peculiare e si traduce in un invito senza mezzi termini a intraprendere soluzioni drastiche.

A proposito di Shrinking molti hanno scritto che l’unica ragione per guardarla è la presenza di Harrison Ford. Per una volta il lapidario giudizio non è molto lontano dal vero: alla sua seconda volta in un ruolo principale di una serie tv, Ford ruba la scena a un cast ricco di nomi pregevoli. Il suo Paul, brontolone sarcastico che nasconde un cuore d’oro, non sbaglia una battuta e rappresenta l’unico contrappunto possibile alla melassa che lo circonda, esplicitata da Jimmy e dal suo circolo di amici improbabili, eccessivi, e destinati a essere accomunati, nonostante le divergenze, dal bisogno d’amore del protagonista.

Seppur gradevole, ma come può esserlo una discreta sitcom, Shrinking è difficilmente perdonabile nel suo uso strumentale della psicoanalisi, trattata alla stregua di un “contenuto” intercambiabile e stravolta nella sua delicata essenza. Ancora una volta Jason Segel impone la sua ingombrante presenza di über simpatico a cui è impossibile non voler bene, ma il raggio traente verso l’abbraccio degli spettatori è divenuto così insistente e ostentato da indurre lo spettatore all’effetto contrario di un cortese diniego. Se si vuole comunque gustare un po’ di magia di Ford, si consiglia l’assunzione di Shrinking in piccole dosi. Il binge watching può agevolmente condurre all’iperglicemia.

La serie tv