Isola dopo isola

A Steven Maeda (già autore del dramma Pan Am e dell’horror sci-fi Helix) e allo showrunner esordiente Matt Owens è toccato in sorte l’arduo compito di adattare in live action il manga che, nonostante sia tuttora in corso, è già quello di maggior successo di tutti i tempi: One Piece. In un mondo ricoperto dagli oceani e pullulante di isole ognuna diversa dall’altra, il diciassettenne Monkey D. Luffy - che mangiando un Frutto del diavolo ha ottenuto un corpo di gomma vulnerabile all’acqua di mare - salpa in solitaria all’inseguimento del titolo di re dei pirati e alla ricerca del One Piece, il misterioso tesoro nascosto dal leggendario Gold Roger.

Prima, però, deve trovare una ciurma. Maeda e Owens rispettano con spirito filologico l’impalcatura narrativa del manga e parte del suo spirito (nelle accezioni picaresche e avventurose), tagliando, cucendo e modificando leggermente - con il benestare dell’autore originale Eiichiro Oda - gli archi narrativi dei primi 11 volumi del fumetto in maniera funzionale ai ritmi di una serie tv. Azzeccato anche il cast (di professionisti poco conosciuti al grande pubblico) grazie a interpretazioni lontane da un tentativo di cosplay, così come la maggior parte degli effetti visivi ha una dignità al di sopra dello standard Netflix. A mancare del tutto è il registro demenziale che, nel manga, aiuta a stemperare i toni pomposi e a creare quello spirito cameratesco e di famigliarità - tra i personaggi e tra la storia e il lettore - così fondamentale nello spirito di One Piece. Detto questo, i fan di Cowboy Bebop lo sanno bene: poteva andare molto peggio.

La serie tv