Elementare, Abbott

Immagina una scuola elementare pubblica in un quartiere popolare - un ghetto contemporaneo a maggioranza afroamericana - nella metropoli (Philadelphia) di un paese, gli Stati Uniti, in cui tutto ciò che non è privato e non porta profitto viene (più o meno) abbandonato a se stesso, o al massimo alla passione e al buon cuore di chi ci lavora.

Immagina di voler raccontare quell’ambiente in maniera improbabile: senza indorare la pillola, ma anche senza che ci si lasci prendere dallo sconforto e dalla disperazione. Immagina di aver voglia di mostrare - peraltro utilizzando il linguaggio più antinaturalistico della tv, quello della sitcom - una realtà del genere con un approccio realistico, ma allo stesso tempo ontologicamente statunitense (l’ottimismo sconsiderato e incrollabile prima di tutto).

Immagina tutte questi obiettivi impossibili, mettili insieme e avrai Abbott Elementary, la più sorprendente sitcom dell’anno; che riesce a essere tale senza preoccuparsi troppo della propria originalità. La cornice da finto documentario, infatti, è la stessa di The Office; così come alcune dinamiche interne al corpo insegnanti protagonista della serie ricalcano (senza nessuna velleità di nascondersi dietro a un dito) quelle fra i dipendenti della Dunder Mifflin. La differenza fra le altre copie stinte di The Office e Abbott Elementary la fa il cuore della serie, che batte allo stesso ritmo di quello della sua tenera e goffa protagonista Janine (interpretata dalla creatrice e produttrice Quinta Brunson): è adorabile, volenterosa, brillante, appassionata, positiva e brutalmente onesta allo stesso tempo. Una piccola perla, per un’esordiente da tenere d’occhio.

La serie tv