Il valore di Andrea

Capita che la storia dietro a un film sovrasti, se non addirittura eclissi, il film stesso, i suoi punti di forza e debolezza, la sua ragion d’essere. A Leslie è un indie movie a modo, onesto, con tutti gli annessi e connessi pertinenti a stile e contenuto: camera barcollante, pedinamento senza invadenze della protagonista eponima - che vince alla lotteria, dilapida il denaro, poi rimasta sola e alcolizzata tenta di ricucirsi - in un plumbeo spaccato sociale di provincia americana (West Texas).

Ma la bufera intorno all’esordio di Michael Morris si è sollevata a posteriori, e ha riguardato la gestione della campagna last minute e zero budget in favore della candidatura come miglior attrice per Andrea Riseborough (interprete di fatto sottostimata), per la quale si è mobilitata mezza Hollywood (amichettismi ?) spendendo in lungo e in largo (sui social) parole grosse («la miglior interpretazione femminile di sempre»: sic!). La nomination, dapprincipio improbabile, è diventata realtà, ma ha spinto l’Academy a una verifica interna su presunti movimenti lobbistici, e in ultimo a revisionare il regolamento delle campagne all’Oscar.

Un boccone amaro, e un peccato: perché è davvero Riseborough (con uno splendido Marc Maron) ad arricchire questo studio di carattere che ha qualità soprattutto in negativo (non è giudicante, non è ricattatorio, non spinge sul patetismo...). L’attrice imbastisce infatti un one woman show che rinuncia a vanità e virtuosismi, componendo una lettera d’amore a Leslie su un corpo spigoloso e vulnerabile, dentro occhi scavati e una voce di trattenuta disperazione. Non sarà la migliore di sempre, ma una di quelle interpretazioni che valgono un film? Decisamente.

Il film