Bianco nero e l’occhio di una donna. Poi un rasoio affilato che, quell’occhio, lo fende orizzontalmente, tagliandolo da un lato all’altro, da destra a sinistra. È la prima scena di un film a tinte surrealiste ma quello non è l’occhio di Simone Mareuil e il rasoio non è composto da un manico e da una lama ma dalle lettere che compongono il titolo della pellicola. Non siamo, insomma, in Un chien andalou ma nei titoli di testa di un’opera che del delirante capolavoro di Luis Buñuel assimila molto: l’approccio psicanalitico, l’onirismo estremo, la violenza delle immagini, il lavoro della macchina da presa sul corpo femminile, sul volto in particolare.
Un corpo e un volto simili in tutto e per tutto a quelle bionde algide hitchcockiane a cui lo stesso Sir Alfred aveva pochi anni prima rinunciato – per poi rammaricarsene nella sua celebre intervista con Truffaut – durante la produzione di Vertigo - La donna che visse due volte, quando la calda, troppo calda, Kim Novak aveva sostituito Vera Miles, rimasta incinta poco prima dell’inizio delle riprese causando le ire del regista. Dal particolare dell’occhio della Novak, Saul Bass, suo storico ideatore dei titoli di testa, lasciava che dal fondo emergesse prima la scritta Vertigo e poi delle spirali capaci di ipnotizzare lo spettatore, di portarlo all’interno del vortice di echi e rimandi di una struttura a specchio, di ammaliarlo con i loro colori fluorescenti, le loro evoluzioni psichedeliche.
Qui, invece, basta un leggero zoom all’indietro che dal centro della pupilla ci restituisce l’interezza dell’iride e delle lunghe ciglia curate entro le quali, soprattutto, prende corpo la repulsione, la Répulsion di Roman Polanski, il secondo lungometraggio di un regista che Hitch lo ha sempre omaggiato – sebbene lui stesso ne abbia ridimensionato la sua presunta ammirazione - e che qui ne riprende lo strenuo formalismo dei titoli di testa, rileggendolo in chiave minimalista ma facendo sintesi al loro interno dei significati e dei simbolismi del suo film, esattamente come la coppia Bass-Hitchcock faceva in Vertigo, Psyco e Intrigo internazionale tra frammentazioni identitarie e reticoli narrativi.
Ed ecco quindi l’inseguirsi compulsivo e sgraziato di attori e maestranze, musicisti, macchinisti e operatori, prima nell’occhio di Catherine Deneuve, nel quale i nomi compaiono e scompaiono in dissolvenza come impressi solo e soltanto nella retina della donna e successivamente, in seguito a un ulteriore lieve zoom all’indietro, al di fuori dell’occhio, percorrendolo da ogni lato e asfissiandolo con movimenti sgraziati, finendo col perdere ogni linearità in una danza caotica dalle geometrie sbilenche e respingenti.
È già la repulsione, la concretizzazione grafica di un dramma psichico che si lega a un modo di percepirsi oggetto di uno sguardo rabbioso, la più precisa possibile delle introduzioni cinematografiche a una patologia, a una mente androfobica, alla repulsione verso il maschio e verso l’eterosessualità, all’idea dello sguardo maschile come violenza, fondamentalmente quel Directed by Roman Polanski che, a conclusione dei titoli di testa, dialoga con il titolo del film, mimando un’ultima volta la recisione del bulbo oculare così da dare inizio all’allucinazione. Amore, fobie, passione e omicidio, ancora una volta, come in Hitchcock, come in Buñuel.
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