[attenzione: spoiler]

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Io la conoscevo bene: scena
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Io la conoscevo bene: scena

La macchina da presa la prende larga, percorrendo da destra a sinistra una spiaggia invasa di rifiuti, scenario “after” più di rovina che di pace – ombrelloni tutti giù, sabbia smossa da migliaia di piedi, una barchetta di legno sventrata; la prende larga e lenta, anche se non c’è niente da vedere, o niente che valga la pena di essere visto. Una panoramica senza panorama – mentre scorrono i titoli di testa su un motivetto balneare di Piero Piccioni – che serve soprattutto ad accrescere la curiosità dello spettatore su come e dove andrà a finire quel movimento (e quindi sul suo perché).

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Io la conoscevo bene: scena

Curiosità soddisfatta quando la cinepresa, che nel frattempo ha stretto e s’è abbassata, incontra il corpo disteso di una ragazza, Adriana Astarelli: lo percorre da vicino, risalendolo dai piedi al volto, trovandolo e insieme scoprendolo – una paio di mutandine a fiorellini, niente reggipetto, un vistoso paio di occhiali appoggiati sulla fronte, gli occhi chiusi. Un corpo vivo, bellissimo, carnale, che con quella spiaggia deserta macchiata di cartacce e quel silenzio del tutto innaturale per un’estate italiana in bianco e nero degli anni Sessanta (il decennio del cinema balneare, affollatissimo) sembra c’entrare poco, tanto da somigliare a una visione oppure a un relitto o a un inganno.

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O forse, in realtà, con quel deserto e quei rifiuti e quel silenzio c’entra eccome, e la bellezza di Stefania Sandrelli quasi ventenne, reduce dal successo di Sedotta e abbandonata, è l’unica cosa che distrae dal pensiero che anch’esso appartenga, come tutto ciò che lo circonda, al territorio dell’inanimato. Dal pensiero, cioè, che quel corpo disteso trionfalmente all’inizio di Io la conoscevo bene sia già, anche, quello che chiude tragicamente il film, allungato (ma questa volta invisibile) sul cemento del viale d’ingresso di un palazzo alla periferia di Roma.

Un presagio e un’anticipazione che Pietrangeli, ben sapendo come e dove andranno a finire le ambizioni di quella ragazza di provincia (e perché), alimenta chiaramente: non solo aspetta ancora qualche secondo prima di svegliare Adriana, ma mentre si concludono i titoli di testa solleva la macchina da presa cambiando radicalmente, assieme alla posizione, il valore dello sguardo. Se prima era stato carezzevole e ostentatamente voyeuristico, adesso, dall’alto e a distanza, coglie quel corpo prono nella sua assoluta, invadente, passiva fisicità. Soltanto un corpo, niente di più.

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Il primo segno di vita di Adriana (per dire che è viva) è uno sbuffo: aria soffiata via. La voce di una cronista rompe il silenzio da una radiolina portatile (Adriana cercherà per tutto il film un sottofondo, la compagnia di parole o canzonette), sono le 15.30, la ragazza si alza e corre via. Non diversamente dalla spiaggia, la città è silenziosa e deserta, anonima e illuminata senza profondità dal sole estivo (strade larghe e vuote, palazzi tutti uguali). Arrivano i primi uomini della sua vita piena di uomini: un venditore ambulante (il Capitano) le allaccia il reggiseno, un altro, Giorgio, la rinfresca con una sventagliata d’acqua.

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Adriana è in ritardo, e il ticchettio delle ciabatte di legno è più invadente di quando dovrebbe (succederà ancora). Lavora in un parrucchiere per signore, sa fare (male e senza passione) un po’ di tutto; alza la saracinesca, entra di fretta, va nel retro, si stende su un lettino e chiude gli occhi. Fine della corsa, e fine dell’incipit: la macchina da presa si alza di nuovo, offrendo per la seconda volta allo sguardo dello spettatore, a distanza di poco più di un minuto, il corpo di Adriana, intero e abbandonato e indifeso. Questa volta supino.

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Io la conoscevo bene: scena

L’avventura di quel corpo non può che risolversi nella sottrazione, è già chiaro. L’incipit di Io la conoscevo bene anticipa, per eccesso, soprattutto questo: la riappropriazione del corpo da parte di Adriana, quel corpo che ha lasciato – per ingenuità e troppo amore e desiderio di vita – che venisse desiderato, usato, abusato; più di tutto, ossessivamente guardato. La rivincita, Adriana, se la prende infine così: rompendolo e cancellandolo nel proprio punto di vista.

Autore

Luca Malavasi

Professore associato presso l’Università degli Studi di Genova, dove insegna Storia e analisi del film ed Elementi di cultura visuale. Collabora con le riviste “Cineforum” (on-line e cartaceo), “Film Tv”, “L’indice dei libri del mese” e co-dirige il semestrale “La valle dell’Eden”. Tra i suoi libri più recenti: Il cinema. Percorsi storici e questioni teoriche (con G. Carluccio e F. Villa, Carocci, 2015), Postmoderno e cinema. Nuove prospettive d’analisi (Carocci, 2017), Il linguaggio del cinema (Pearson, 2019).

Il film

locandina Io la conoscevo bene

Io la conoscevo bene

Drammatico - Italia 1965 - durata 122’

Regia: Antonio Pietrangeli

Con Stefania Sandrelli, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Enrico Maria Salerno

in streaming: su Apple TV Amazon Video Rai Play