Nella cassetta degli attrezzi di Rodrigo Sorogoyen uno strumento prediletto è di certo il pianosequenza, praticamente un marchio di fabbrica del regista spagnolo. Per esempio Madre (2019) comincia proprio con una tesissima ripresa unica di 15 minuti, che è in realtà ciò che avveniva nell’omonimo corto del 2017, poi espanso due anni dopo in questo lungo che inizia come fosse un thriller e si sviluppa seguendo altre inattese direzioni.

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Madre

Prima del pianosequenza, il film si apre su una spiaggia ripresa con camera fissa: è la plage di Vieux-Boucau-les-Bains, nella Francia del sud, al confine con i Paesi Baschi, “scena del delitto” centrale nella storia, luogo in cui accadde il fattaccio (la sparizione di un bambino seienne, rimasto da solo per negligenza paterna) e dove s’innesca un trauma irrisolto nella psiche della protagonista, ancora di più doloroso perché sempre fuoricampo - non visto e quindi mai davvero elaborato.

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Madre

Dopo la breve inquadratura della spiaggia, uno stacco ci porta all’interno di un appartamento di Madrid, palcoscenico su cui si muovono Elena e sua madre: la mdp inizia qui la sua danza ininterrotta attorno a quei corpi di donne, e segue tutta la telefonata tra la mamma e il figlio Iván - che invece è inconsistente, solo voce lontana, già fantasma in un aldilà, un oltre a cui non abbiamo accesso, spettro forse revenant, dieci anni dopo, nel corpo del sedicenne Jean.

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Madre

L’incipit è appunto costruito su un climax: in principio la comunicazione a distanza tra Elena e Iván è piuttosto banale, colloquiale, poi con il passare dei minuti la conversazione si fa via via più angosciante, e noi assistiamo, impotenti come la madre, alla tragedia in diretta, senza poterla vedere. Tutto si gioca sullo sguardo, sul campo/fuoricampo: Elena chiede con insistenza al figlio di descriverle quello che c’è attorno a lui, «cosa vedi?» gli domanda, come a colmare quell’assenza, quel vuoto. E mentre lei non può vedere, noi vediamo lei, sempre in campo, senza stacchi; al suo sguardo negato corrisponde, per contro, un eccesso di visione per lo spettatore, con quella ripresa continua che non dà tregua.

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Madre

Il bellissimo pianosequenza iniziale è solo il primo dei tanti che ricorrono lungo tutto il film. Vale la pena qui citarne almeno un altro, il “gemello” della scena di apertura. Verso la fine, infatti, si ripete - scherzo del destino! - la stesa dinamica dell’incipit: Elena, nel modesto appartamento in Francia, è al telefono con Jean, che è fuggito dai genitori e si nasconde da loro, e la camera inquadra, senza mai staccare, la “madre” preoccupata che parla al cellulare. A differenza del tragico inizio, dopo la chiamata ci sarà un ricongiungimento con il “figlio”, un ritrovarsi, come una piccola ricompensa a posteriori. Attraverso la ri-messa in scena del trauma originario, Elena riesce in qualche modo, finalmente, a elaborare il lutto, ad andare avanti. Grandissimo film di Sorogoyen, Madre è un’opera sul dubbio, sull’incertezza, sulla mancanza, come già il suo incipit anticipa magistralmente.

Autore

Giulia Bona

Giulia Bona è nata a Voghera e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne e Studi cinematografici con una tesi su Agnès Varda e il riciclaggio creativo. Riempiva quaderni di storie e pensieri, dava inchiostro alla sua penna sul giornalino della scuola, ora scrive per Film Tv. Ama leggere, i sentieri di montagna, la focaccia e sorride quando vede un cane.

Il film

locandina Madre

Madre

Drammatico - Spagna, Francia 2019 - durata 128’

Titolo originale: Madre

Regia: Rodrigo Sorogoyen

Con Marta Nieto, Jules Porier, Anne Consigny, Alex Brendemühl, Frédéric Pierrot

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