Uscita nel gennaio del 2014 sul canale HBO, True Detective non aveva niente di rivoluzionario nei contenuti, indagava un terreno familiare e ribadiva un paradigma: quello del detective consumato dalla sua indagine e dal male che braccava, da qualche parte tra James Ellroy e i poliziotti scandinavi di moda negli anni 2000. La vera novità della serie, scritta da Nic Pizzolatto e diretta da Cary Fukunaga, stava soprattutto nella sua forma: narrazione distesa, tempi lunghi, quasi languidi e all’unisono col clima umido della Louisiana, sequenze dilatate, struttura tridimensionale del racconto, estetica sensuale, inquadrature contemplative, monologhi interminabili...

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True Detective

True Detective attingeva a piene mani dalla tradizione narrativa americana - il titolo è quello di una serie di romanzi ‘pulp’ pubblicati per la prima volta nel 1925 - e intanto guardava altrove. Cercava dietro il ‘poliziesco’ il racconto filosofico, tracciava nuove e rinnovate direzioni per sondare l’insondabile anima maschile. Il plot, in breve, seguiva le erranze di due ‘veri detective’ nel Sud profondo degli Stati Uniti che rimane impresso sullo schermo (e sulla retina) fin dai titoli di testa, ‘trasparenze’ come vapori sulfurei che hanno stimolato le teorie più assurde. In questa cornice perennemente afosa, compare anche il corpo di una prostituta, probabilmente vittima di un serial killer. Ma era chiaro a tutti e dalle prime battute che True Detective non avesse niente a che vedere con la litania di studi criminali più o meno brillanti che inquinavano la TV in quegli anni. Non si trattava di risolvere con un lampo di genio l’indagine sulla morte di questa donna o di quell’altro bambino, vittime predilette dell’orco di turno, ma di creare soprattutto un’atmosfera, un mondo appiccicoso, zone umide, paesaggi fluviali dove la vita degli agenti si impaludava per diciassette anni. Diciassette anni di prove, congetture e frustrazioni dietro a un assassino e dentro una campagna e una comunità dimenticata da tutti, dove regnavano l’oscurantismo, la bigotteria e la consanguineità...

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True Detective

L’invito al viaggio, un trip pagano allucinato, comincia dalla sigla, vero oggetto d’arte e di culto per i fan, una sofisticata sequenza di quadri che impattano immediatamente lo spettatore, immagini simboliche che compongono il paesaggio immaginario (e reale) della serie. Utilizzando una tecnica ben nota ai fotografi, quella della doppia esposizione, i creatori fanno scivolare l’universo visivo di True Detective dentro un onirismo tormentato, a metà strada tra la mitologia sudista (il bayou, i predicatori, le chiese di legno, le architetture coloniali...) e una composizione astratta prossima a un sogno, meglio, a un incubo. Qualche anno dopo, questi titoli d’ambiance diventeranno un modello abusato, un cliché visivo utilizzato pigramente per evocare mistero e introspezione. Ammirevole per ingegnosità e potenza evocativa, la sigla di questo neo-noir pànico è evidentemente ispirata agli opening credits di True Blood, a partire dal décor, la Louisiana.

Ma l’immagine del suo ecosistema scorre su ‘note’ distinte. Laddove la serie dei vampiri deborda di energia nera e di allusioni sessuali su note rock, la canzone dei The Handsome Family soffia il dark-country su un’inchiesta poliziesca metafisica, in bilico tra il buddy movie e l’ipnotico languore di Apichatpong Weerasethakul. Una volta ascoltata la loro superba ballata gotica (Far From Any Road), registrata undici anni prima nell’album Singing Bones, siete nella serie e vi resta in testa. Come le immagini che scorrono e che potremmo guardare all’infinito trovando ogni volta un senso nuovo.

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Insieme convocano i due pilastri della serie: il disastro industriale ed ecologico dello stato della Louisiana – i paesaggi portano le cicatrici della nostra colonizzazione e i colori e le linee della sigla sembrano indicare le pericolose conseguenze della nostra appropriazione - e i demoni che abitano i due protagonisti. I nomi di Matthew McConaughey e Woody Harrelson appaiono al principio, incisi su una strada sterrata che conduce a un complesso industriale.

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Il seguito illustra una galleria di fotografie che riprendono il concetto di sovrapposizione. A partire dal bel volto di Michelle Monaghan, ogni immagine è costituita da un personaggio della serie ‘attraversato’ da un paesaggio (o un oggetto) che ne esprime la complessità e i tormenti. Ma non mancano gli ‘indizi’ e alcuni elementi caratteristici della serie: le corna di un cervo, le natiche femminili accomodate sulle borchie a punta di un tacco dodici, le croci e la religione, i parcheggi e le bandiere americane.

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True Detective

Ogni fotografia respira attraverso un sottile effetto di movimento. Lo scorrimento degli scatti è stato rallentato per creare un’atmosfera greve che ci precipita in un altro mondo, fabbricato utilizzando effetti 3D per la trasparenza, colori vintage e vecchie fotografie con tessitura granulosa per correggere l’effetto esageratamente digitale. Si comincia col bianco e nero e si slitta progressivamente nel colore che colora una prima croce, anticipando allo spettatore la forte presenza nel racconto della materia religiosa, della sua pratica e dei suoi feticci.

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Alla sua maniera, la sigla racconta il viaggio introspettivo dei suoi personaggi: Martin (Woody Harrelson) è ‘esposto’ con una ragazza sexy dentro un costume da bagno con stampa di bandiera americana, mentre sua moglie Maggie (Michelle Monaghan) è circondata da meduse.

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Rustin, interpretato invece da Matthew McConaughey, sperimenta qui la sua futura apocalisse. Il fuoco divampa, rosso magenta, e incendia il suo profilo bianco e nero. Ma il motivo delle fiamme finisce per divorare presto tutte le immagini, prima che il titolo della serie appaia a lettere di fuoco, anticipato da una nuova croce sovrapposta.

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Poi si torna ai nostri detective, fermi accanto alla loro auto, silhouette sottili in un paesaggio di nuovo in primo piano. Affresco di sconcertante bellezza formale, ogni elemento visivo e sonoro contribuisce a creare un’atmosfera, una mitologia unica e coerente, la sequenza di apertura dello studio Elastic Wit cattura l’essenza di True Detective, dove epoche diverse si sovrappongono per formare un insieme complesso e organico.

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True Detective

Un organismo che esplode nelle particelle narrative dei suoi titoli vaporosi, sfidando la nozione di genere e offrendo una penetrante esperienza sensoriale. In questo, True Detective si dimostra totalmente contemporaneo, consapevole di arrivare in un momento cruciale della storia delle serie televisive. L’età dell’oro sembra alle spalle ma una forma d’arte in pieno possesso dei suoi mezzi si reinventa. Non resta che goderne appieno. Perché più di qualsiasi altra serie sua contemporanea, pensiamo a House of Cards, True Detective riflette sulla maniera migliore di raccontare una storia ficcata in un mondo di violenza e di menzogna.

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Fin dal principio per lo spettatore si tratta di decifrare simboli, di colmare lacune, di correggere percezioni distorte, di ricucire un discorso passato costantemente al setaccio della memoria e della rilettura incompleta di un evento lontano, di scollare gli strati vischiosi della storia, di entrare nella testa di una coppia incandescente, un duo apparentemente classico, due poliziotti che tutto oppone, due uomini ambigui e profondi, col rischio di perdersi con loro.

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Con la fine di Breaking Bad pensavamo di assistere al crepuscolo degli antieroi, che si sono invece trasformati, confusi in migliaia di mondi diversi, dentro una vita in cui si trascinano ormai stanchi, esausti. Adesso non sono che spettri, dreamers angosciati che hanno finito le parole o le cercano nel sottosuolo nel tentativo disperato di recuperare il passato, di risolvere un omicidio rituale, di ritrovare la fede, non la fede divina, ma quella nelle storie e di come riempiono gli ‘spazi vuoti’. Cosa che faranno Martin e Rustin, indagando fino alla fine su piste scomode, e respinte dalle autorità. Tra repliche folgoranti e indagine rigorosa, lasceranno filtrare la speranza e il sole nelle loro piccole vite ordinarie, incoraggiando gli spettatori a ‘partorire una montagna’ di speculazioni. Perché le serie migliori sono quelle che ci coinvolgono, che ci rendono co-autori. True Detective siamo noi che indaghiamo su di noi. Praticamente un’inchiesta intima.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

La serie tv

locandina True Detective

True Detective

Giallo - USA 2014 - durata 59’

Titolo originale: True Detective

Creato da: Issa López, Nic Pizzolatto

Regia: Cary Fukunaga

Con Matthew McConaughey, Mariano 'Big Dawg' Mendoza, Dwayne Johnson, Mahershala Ali, Valeri Ross, John Earl Jelks

in streaming: su Sky Go Now TV Microsoft Store