Se dico Roy Andersson, rispondi tableau vivant. E in effetti i suoi raggelati, grotteschi, surreali quadri fissi sono ormai la firma del cineasta svedese, il suo marchio di fabbrica, lo stile che abbiamo imparato a conoscere (e ad amare) nel corso degli anni Duemila, dalla trilogia “sull’essere un essere umano” (2000-2014) all’ultimo Sulla infinitezza (2019). Molto prima dei pianisequenza a camera fissa, però, Andersson ha esordito con un film dalla forma assai differente: Una storia d’amore svedese (1970), disponibile gratuitamente su ARTE fino al 29 giugno.

locandina
Una storia d'amore svedese (1970) locandina

Girato all’età di 27 anni, subito dopo il diploma allo Swedish Film Institute, il primo lungo di Andersson si lascia influenzare dall’osservazione diretta del tessuto sociale che lo circonda, con il regista spinto dalla passione per il neorealismo italiano (Ladri di biciclette era il suo film preferito, lo ha ribadito in un’intervista anche su Film Tv n. 21/2021). Come suggerisce il titolo, Una storia d’amore svedese narra la love story tra due adolescenti: Pär, figlio di un carrozziere e una casalinga (dalla working class proviene anche Andersson), e la borghese Annika. L’amore sboccia nel giardino di un ospedale, con le rispettive famiglie in visita a un parente nell’istituto, e ha la consistenza di fugaci sguardi rubati, ripresi con frequenti primi piani, utilizzati durante tutto il film, poi abbandonati nei lavori successivi in favore dei campi totali, dove lo sguardo può vagare e perdersi in mezzo ai personaggi-marionette che riflettono sull’esistenza nello statico teatrino di Andersson.

Rolf Sohlman
Una storia d'amore svedese (1970) Rolf Sohlman

In questo esordio giovanile, invece, c’è prossimità nei confronti dei protagonisti, e c’è movimento, con la mdp che segue il girovagare del gruppetto di ragazzini, stretti nelle loro giacche di pelle come fossero armature, in sella alle motociclette. È vivace, in movimento la stessa relazione tra Pär e Annika, amore tenero e struggente come solo quelli adolescenziali sanno essere. Attorno ai due giovani amanti il cerchio si allarga agli adulti e il racconto si popola di figure tristi, depresse, frustrate, uomini e donne per cui è difficile essere umani (It’s Hard to Be Human era il titolo della retrospettiva che il Museum of Arts and Design di New York dedica a Roy Andersson nel 2015), male equipaggiati di fronte agli sgambetti della vita, soli («il mondo di oggi non è fatto per le persone sole», confessa il nonno di Pär, che preferisce starsene chiuso nel rassicurante ospedale piuttosto che uscire).

Bertil Norström
Una storia d'amore svedese (1970) Bertil Norström

Personaggi smarriti, che si perdono in mezzo alla nebbia, come nel finale del film, durante la festa di Midsommar che riunisce le famiglie di Pär e Annika. Nella descrizione di questo mondo adulto inetto si può leggere in filigrana tutto il disagio esistenziale messo in scena da Andersson nel corso della carriera, con una forma che via via si raffredda, si blocca, vira verso il surreale (o l’astratto) e il tragicomico. Una storia d’amore svedese viene presentato alla 20ª edizione della Berlinale, ottiene riconoscimenti e il suo regista attira l’attenzione. Ma il secondo film, Giliap (1975), è un flop e spinge Andersson ad allontanarsi dal cinema. Si rivolge allora alla pubblicità, dirige oltre 400 spot, e intanto dipinge - fondamentale per la costruzione del suo riconoscibile stile è l’influenza della Nuova oggettività tedesca e di artisti come Otto Dix e Georg Scholz.

scena
Something Happened (1987) scena

Prima del suo ritorno al lungometraggio (nel 2000 con Canzoni del secondo piano), si riconcilia con la settima arte attraverso alcuni cortometraggi, con i quali inizia a mettere in pratica una nuova forma. Something Happened (1987) è un corto sul tema AIDS, controverso film educativo che contesta l’origine del virus, attribuendola a esperimenti umani nei laboratori statunitensi (i bizzarri quadretti che ritraggono medici e scienziati fare test nei manicomi o nelle carceri); un’opera breve che denuncia inoltre lo stigma che ha accompagnato la malattia: «La gente era in preda al panico», si sente nel corto, «pensava che la natura o Dio stessero punendo l’uomo per aver vissuto in modo sbagliato. La gente si sentiva in colpa e cercava dei capri espiatori. Li trovò nelle minoranze, negli estranei e nelle altre razze». Ancora, Un mondo di gloria (1991) è il racconto della vita dimessa e alienata di un agente immobiliare che si sussegue un piano fisso dopo l’altro. I due corti, quasi prove generali per le successive, acclamate opere, sono disponibili gratuitamente su ARTE fino al 30 giugno (qui il primo, qui il secondo). 

Autore

Giulia Bona

Giulia Bona è nata a Voghera e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne e Studi cinematografici con una tesi su Agnès Varda e il riciclaggio creativo. Riempiva quaderni di storie e pensieri, dava inchiostro alla sua penna sul giornalino della scuola, ora scrive per Film Tv. Ama leggere, i sentieri di montagna, la focaccia e sorride quando vede un cane.

Il film

locandina Una storia d'amore svedese

Una storia d'amore svedese

Drammatico - Svezia 1970 - durata 115’

Titolo originale: En kärlekshistoria

Regia: Roy Andersson

Con Ann-Sofie Kylin, Rolf Sohlman, Anita Lindblom, Bertil Norström

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